domenica 28 ottobre 2007

ANDREOTTI CONDANNATO: PER UNA VOLTA NON PRESCRITTO

Il nostro "amatissimo" senatore a vita Giulio Andreotti è stato condannato per diffamazione nei confronti del giudice Mario Almerighi, ex pretore di assalto a Genova negli anni Settanta. Andreotti, quando nel 1999 venne assolto in primo grado per insufficienza di prove, si scagliò contro Almerighi, accusandolo di aver reso una deposizione falsa, in relazione alle confidenze del senatore Casadei Monti sulle pressioni che Andreotti aveva esercitato sul Ministro della Giustizia Rognoni per bloccare un procedimento disciplinare nei confronti del c.d. Ammazzasentenze, Corrado Carnevale.

Il "prescritto a vita", come definisce Travaglio il senatore a vita, paragonò Almerighi ai falsi pentiti, sostenendo che affidare la giustizia a gente come lui «è come lasciare la miccia nelle mani di un bambino». "Almerighi querelò. Andreotti tentò di salvarsi con la solita insindacabilità-impunità parlamentare e nel gennaio del 2001 il Senato gli regalò con voto bipartisan lo scudo spaziale. Ma la Corte costituzionale glielo tolse («Non spetta al Senato affermare che le opinioni espresse dal senatore Andreotti costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni»). Così il processo ripartì e finalmente, il 15 giugno scorso, il prescritto a vita è stato condannato dal Tribunale di Perugia a 2mila euro di multa (interamente condonata dall’in-
dulto-vergogna, che copre anche le pene pecuniarie), oltre a 20mila euro di provvisionale a titolo di acconto del risarcimento del danno da fissare in separata sede civile". (Antimafia duemila).

Nella motivazione della sentenza si legge che Andreotti è colpevole in quanto «era ben consapevole che le sue parole gravemente diffamatorie, inutilmente volte a gettare fango su Almerighi, erano destinate alla divulgazione e alla pubblicazione». "Quanto ad Almerighi, «può ritenersi provata la circostanza che quel tipo di confidenza (sui traffici di Andre-
otti pro Carnevale, ndr) gli era stata fatta per davvero» da Casadei Monti: lo provano le «concordi deposizioni» di almeno tre magistrati e l’atteggia-
mento dello stesso Almerighi il quale, «spinto da un’ansia di verità, che muoveva dallo sdegno per i tanti morti tra le file dei suoi amici» (da Ciaccio Montalto a Falcone e Borsellino), giunse «a divaricare la sua posizione da quella dell’amico confidente Casadei Monti, a costo di esporre lui o se stesso al rischio di non esser creduto». Almerighi dunque ha detto la verità; Andreotti invece «plurime esternazioni menzognere» e insulti «lanciati come strali dinanzi ai quale si resta impietriti»".

sabato 27 ottobre 2007

Parole che non dovrebbero essere dimenticate


"Oggi la nuova Resistenza consiste nel difendere le posizioni che abbiamo conquistato, nel difendere la Repubblica e la democrazia. Oggi ci vogliono due qualità: l'onestà e il coraggio. Quindi l'appello che faccio ai giovani è questo: cercate di essere onesti prima di tutto. La politica dev'essere fatta con le mani pulite! Se c'è qualche scandalo, se c'è qualcuno che dà scandalo, se c'è qualche uomo politico che approfitta dei suoi sporchi interessi, deve essere denunciato".

Queste parole furono pronunciate da Sandro Pertini, presidente della Repubblica italiana dal 1978 al 1985.

Pertini è ricordato come il Presidente della Repubblica più amato dagli Italiani... Purtroppo spesse volte in Italia si ricordano solo i nomi di queste persone, ma non le parole e la loro tensione morale...

Non gettiamo dalla finestra la nostra memoria storica!!!

venerdì 26 ottobre 2007

Lavori pubblici, Confesercenti: «Le grandi imprese vengono a patti con la mafia»

Dal Sole 24 ore
"Cresce il condizionamento esercitato dalla criminalità mafiosa sulle imprese italiane. Accanto a un'attività parassitaria di tipo tradizionale, costituita dai reati di estorsione e usura, aumenta la cosiddetta mafia imprenditrice, ormai presente in ogni comparto economico e finanziario del Belpaese. Si parla dei condizionamenti della mafia nel mercato, dei costi derivanti dalla criminalità di strada, delle attività illegali, a cominciare dall'abusivismo, passando per il contrabbando e il cybercrime. I commercianti e gli imprenditori subiscono 1.300 reati al giorno, praticamente 50 l'ora, e nelle casse delle organizzazioni criminali confluiscono proventi pari più di 90 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del Pil nazionale. Affari fiorenti per la criminalità mafiosa anche dal racket, che colpisce 160mila commercianti e che comporta un introito indebito di circa 10 miliardi di euro. In Puglia, Campania, Calabria e Sicilia sono concentrati ben 132mila commercianti che pagano il pizzo. Sono questi, in sintesi, i principali dati contenuti nel rapporto di Sos Impresa «Le mani della criminalità sulle imprese», presentato, a Roma, dal presidente di Confesercenti Marco Venturi che descrive modalità e sistemi di condizionamento nel tessuto economico del Belpaese messi in atto dai sodalizi criminali. (...)
Dal rapporto, giunto alla decima edizione, emerge il crescente consolidarsi delle mire imprenditoriali delle mafie in un po' tutti i settori economici e finanziari del Belpaese: dalla filiera agroalimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, senza dimenticare, poi, gli appalti, le forniture pubbliche, oltre che il settore immobiliare e finanziario. Tra la tipologia di reati commessi a danno delle imprese, svetta l'usura, che produce da sola un giro d'affari di 30 miliardi di euro, che per i 150 mila commercianti colpiti ha un costo stimato in 12 miliardi di euro. E tra i nuovi attori del crimine, in evidenza la promozione a capo di molte donne, mentre preoccupa il forte abbassamento di età degli estorsori, che vede sempre più spesso il coinvolgimento di minorenni in numerosi atti criminali. (...)"

Per il rapporto completo cliccate qui.

Per vedere la mappa del pizzo, cliccate qui.

lunedì 22 ottobre 2007

Mafia e lavoro in nero

"E' assurdo che si debba morire sul lavoro. E aggiungo io, per salari bassi, talvolta indecenti. Non limitiamoci alla denuncia, dobbiamo sentire il dovere istituzionale di reagire, di indignarsi, di gettare l'allarme, di sollecitare risposte. Dobbiamo volere condizioni di lavoro più umane, più civili, più rispettose dei bisogni e della dignità di tutti. Dobbiamo volere un'Italia migliore".

Giorgio Napolitano, 1 maggio 2007

Si parla sempre (chiaramente senza fare nulla) di lavoro precario, spesso dimenticando un'altra grande piaga di questo paese: il lavoro in nero. La mafia (come potrebbe essere altrimenti?) si mantiene e si sostiene anche attraverso lo sfruttamento di moltissimi lavoratori.
A inizio settembre la Federazione Lavoratori Agro Industria della Sicilia ha denunciato:
"In Sicilia anche quest’anno si sta vendemmiando facendo largo ricorso al lavoro nero, mentre il 70% di chi dovrebbe controllare e’ in ferie" . La qualità certificata dell'uva raccolta in Sicilia non sarebbe, dunque, accompagnata dalla legalità, ma da evasione fiscale e bassi salari. Delle 35 mila persone occupate nell'isola nel settore viticolo, solo 2 mila avrebbero un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Già a gennaio il segretario della FLAI Lo Balbo aveva affermato che nelle campagne siciliane esisterebbero 20 mila nuovi schiavi.
In Italia, purtroppo, si fa ancora troppo poco per combattere questa piaga. Operai che lavorano nei cantieri senza alcuna sicurezza, ragazzi sfruttati per troppe ore nei posti di lavoro sono sotto gli occhi di tutti. Eppure, cosa si fa per cambiare le cose?
Quando c'è un morto di lavoro, il tg rapidamente ce ne dà notizia, ma raramente affronta approfonditamente il problema.
La Cassazione di recente ha affermato che il lavoro in nero costituisce estorsione e ha confermato a carico di tre
datori di lavoro sardi di Nuoro il verdetto con il quale la Corte di Appello di Cagliari li aveva giudicati colpevoli di estorsione infliggendo tre anni e mezzo di carcere ciascuno.
Un verdetto positivo, che deve spingerci ad avere fiducia e a combattere per cambiare la situazione raccapricciante del nostro paese che vuole dirsi democratico.

Ecco perché sabato ho partecipato alla manifestazione a Roma, perché bisogna sempre ricordare a chi ci governa che il lavoro nobilita l'uomo, è fonte della sua libertà e della sua autonomia.

domenica 21 ottobre 2007

Un'altra vergogna in questo paese

Alla fine è accaduto quello che in molti temevamo: è stata avocata l'inchiesta "Why not" a Luigi De Magistris. Ma non dal CSM, ma dalla Procura generale di Catanzaro. Motivazione: incompatibilità relativa all'iscrizione di Clemente Mastella nel registro degli indagati.

Riporto l'intervista fatta a De Magistris dal Corriere della Sera.

Allora, dottor de Magistris, c'è una strategia in ciò che sta accadendo?
«È evidente. C'è una strategia in atto. Una strategia ben nota all'Italia. Si chiama strategia della tensione».

Come fa a dirlo?
«Le intimidazioni istituzionali, le pallottole, la richiesta di trasferimento da parte del ministro, e da ultimo l'avocazione di un'altra mia indagine e la fuga di notizie sull'iscrizione del ministro tra gli indagati, tutto questo è opera di una manina particolarmente raffinata».

Quale manina?
«Poteri occulti. Massoneria, soprattutto. Coadiuvati da pezzi della magistratura, non solo calabrese, che in questa vicenda hanno svolto un ruolo fondamentale L'ultimo gol, secondo questo ragionamento, lo hanno fatto segnare al procuratore generale Favi? «Beh, è un dato di fatto che il dottor Favi, soprattutto negli ultimi mesi, sembra che abbia svolto soltanto un ruolo: una intensa attività epistolare in cui si è occupato di me, come magistrato e come persona fisica. Voleva togliermi anche l'inchiesta Toghe lucane. Finora non c'è riuscito, ma non è detto che non abbia già pensato di concludere il lavoro ».

Per quali ragioni lei teme che si voglia spingere il Paese in un clima da anni di piombo?
«Perché con questa avocazione, me lo lasci dire, torniamo alla magistratura fascista, forte con i deboli e debole con i forti. Davanti alla legge, i potenti non sono uguali come tutti gli altri. Questo è il messaggio. E il pericolo è che si apra la strada a un periodo buio: ognuno stia al suo posto e non si immischi, perché rischia ».

Lei rischia?
«Certo. E non solo io. Anche tutti gli altri che si sono occupati di queste vicende. E tutti i cittadini».
Cosa si rischia?
«Dopo un'avocazione di un'inchiesta del genere, distrutto lo Stato di diritto, rischi le pallottole e il tritolo».

Come le pallottole inviate a lei e al gip di Milano, Clementina Forleo, firmate Brigate rosse?
«Ma quali Brigate rosse! Per fortuna, oggi siamo in un momento storico diverso, non c'è il terreno di coltura dell'ideologismo fanatico degli anni '70 e c'è una grande attenzione al tema dei diritti. No, non c'è il rischio di iniziative violente da parte di improbabili sigle terroristiche vecchie e nuove. Quei proiettili inviati a me e alla collega Forleo provengono da settori deviati di apparati dello Stato, che già in passato hanno messo in pericolo le istituzioni e oggi cercano di riprodurre quel clima».

Dica la verità, lei ritiene che sia in atto un golpe giudiziario?
«La parola golpe la usa lei. Certo è che è accaduta una cosa senza precedenti, della quale non so ancora ufficialmente nulla, poiché nulla mi è stato notificato. L'ho appreso dall'Ansa. No, non mi pare ci siano più le condizioni per fare il magistrato, specie in Calabria, avendo come punto di riferimento l'articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza di tutti i cittadini, ndr) ».

Da quand'è che si trova sotto tiro?
«Da quando ho cominciato a indagare sui finanziamenti pubblici europei. Da allora, è scattata la strategia delle manine massoniche. Questo di oggi è solo l'ultimo atto. Staremo a vedere quali saranno i prossimi, visto che ormai sono considerato un elemento "socialmente pericoloso"».

La accusano di aver iscritto Mastella nel registro degli indagati per ritorsione, per la storia del trasferimento.
«Falso. Le indagini, come tutti sanno, avevano un loro corso, che non poteva essere intralciato da attività esterne. Nemmeno da una richiesta di trasferimento, che appunto è da considerarsi un'attività esterna. La domanda da fare è un'altra».

La faccia.
«Mi chiedo: chi e perché ha fatto venir fuori la notizia dell'iscrizione di Mastella? E come mai è stata fatta pubblicare una cosa non vera, e cioè che Mastella fosse indagato anche per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete? ».

E che cosa si risponde?
«Che è opera della stessa manina raffinata. Suggerisce qualcosa il fatto che prima ancora che le agenzie lanciassero la notizia, Mastella abbia dichiarato che con le associazioni massoniche lui non ha nulla a che fare?».

In questo scenario, le misure di sicurezza per lei sono state rafforzate?
«Non ne so nulla. So che continuo a mettere di tasca mia la benzina a un'auto blindata che è un baraccone, tanto che non può spostarsi nemmeno fuori Catanzaro».

E la riunione di giovedì scorso del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica? «Come no. Mi hanno detto che vi ha preso parte anche il procuratore aggiunto Salvatore Murone (sul quale indaga la procura di Salerno, per fatti relativi a inchieste del pm de Magistris, ndr). La cosa un po' mi inquieta, poiché ritengo che proprio Murone sia uno dei principali responsabili del mio isolamento istituzionale, oltre che uno degli autori dell'attività di contrasto nei miei confronti all'interno dell'ufficio giudiziario».

Allora è vero che quella di Catanzaro è un'altra «procura dei veleni»?
«No. Non è così. Con la gran parte dei colleghi io ho un rapporto ottimo. Ma quando arrivo in Procura mi guardo lo stesso alle spalle. C'è nei miei confronti, e le vicende degli ultimi tre anni lo dimostrano, una precisa attività di contrasto, messa in atto verso ben precise indagini e svolta da parte di ben individuati soggetti».

Cosa pensa della telefonata dell'altro giorno tra i suoi indagati Prodi e Mastella che il premier ha definito «cordiale»?
«Non parlo delle indagini in corso, lo sa». Dopo questa intervista, non l'accuseranno di aver avuto un «disinvolto rapporto » con la stampa? «Questo è davvero paradossale. Sono io che ho subito i danni creati dalle fughe di notizie. E poi, adesso basta. Il momento è troppo grave. E quindi ritengo di potermi svincolare dal dovere di riservatezza che mi ero imposto, mentre tutti gli altri facevano con me il tiro al bersaglio ».

Pensa che debbano intervenire capo dello Stato e Csm?
«Sì. Lo spero. Non so perché il presidente Napolitano non sia ancora intervenuto. Confido che lo faccia il Csm, a tutela dell'autonomia e indipendenza di tutti i magistrati. Anche di quelli che lavorano in Calabria».

giovedì 18 ottobre 2007

La lezione di Caselli


Ieri ho avuto l’onore di ascoltare a Bologna, nella facoltà di Giurisprudenza, una lezione su diritto e terrorismo tenuta da Giancarlo Caselli.

Il giudice ha spiegato quelli che dovrebbero essere i metodi di contrasto a qualsiasi organizzazione criminale e, in particolare, ha sottolineato l’importanza della collaborazione di tutti i soggetti agenti nelle istituzioni e nella società per sconfiggere realtà concrete come mafia e terrorismo. Lungo tutto l’arco dell’intervento è emerso che, quando lo Stato si mostra deciso e rispettoso delle regole e degli strumenti democratici, è possibile scardinare la strategia di paura su cui fanno leva le organizzazioni terroristiche e mafiose. Il coinvolgimento dell’opinione pubblica, un’opera legislativa attenta, l’azione capillare delle forze dell’ordine, nonché una coraggiosa attività giurisdizionale possono consentire, unitamente alla consapevolezza del radicamento e dell’effettività delle organizzazioni eversive, di vincere la dura lotta che lo Stato unito ha intrapreso. “Bisogna percorrere strade compatibili con i diritti democratici”, ha affermato solennemente Caselli, in riferimento alla realtà odierna, dove si vuol far passare come legittima la tortura di presunti colpevoli o sospetti di terrorismo internazionale in nome di una sicurezza vaga e indefinita.

Caselli non leggerà mai il mio blog, ma voglio da qui ringraziarlo per lo splendido insegnamento che ci ha dato con la sua attività di magistrato e per la bellissima lezione di ieri.

Concludo con le parole che Indro Montanelli scrisse sul Corriere della Sera nel 1998 in difesa del giudice:

Signor Procuratore, le auguro che la limpidezza della sua azione trionfi e valga a disperdere o almeno ad alleggerire la cappa di fango che si cerca di gettare sulla Giustizia. Lo auguro a lei. Ma lo auguro anche, come cittadino, a me stesso”.

lunedì 15 ottobre 2007

CHIESTI OTTO ANNI PER CUFFARO

"Otto anni di reclusione: questa la richiesta avanzata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, al termine della requisitoria nel processo alle cosiddette "talpe della Dda", nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, imputato di favoreggiamento a Cosa nostra e rivelazione di notizie riservate". Questo si apprende oggi dal sito della Repubblica. I pm avevano ridimensionato l'accusa già durante la fase della requisitoria, ufficializzando le motivazioni che li avevano indotti a contestare al politico solo il reato di favoreggiamento e non quello di concorso esterno all'associazione mafiosa. Mancherebbero, infatti, le prove dell'accordo tra il boss Guttadauro e il Cuffaro di candidare alle regionali del 2001 Mimmo Miceli.

Il procuratore Pignatone ha dichiarato: "Questo è stato definito il processo alle 'talpe', ma questa definizione è riduttiva. Questo processo ha svelato alcuni aspetti strategici e vitali per Cosa nostra, facendo emergere il coacervo di interessi illeciti che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, compresi rappresentanti politici. Mai, come in questo processo è stato ricostruito, in un'aula giudiziaria, il fenomeno delle fughe di notizie, rivelando un panorama desolante di sistematico tradimento anche da parte di esponenti degli apparati investigativi".

Da parte loro i legali di Cuffaro hanno depositato, nella terza sezione del Tribunale di Palermo, l'istanza in cui chiedono la "remissione" del processo in altra sede giudiziaria per "la grave situazione ambientale". A decidere sarà la Cassazione.

sabato 13 ottobre 2007

FORSE SARANNO DISTRUTTE LE INTERCETTAZIONI TRA BERLUSCONI E CUFFARO


Dal sito di Antimafia duemila

PALERMO. Sarà il capo della procura di Palermo Francesco Messineo a rappresentare l’accusa nell’udienza in cui il gup Fabio Licata dovrà decidere se distruggere o meno le bobine relative alle conversazioni telefoniche intercettate tra l’ex premier Silvio Berlusconi e il Presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro.
Era stato infatti il procuratore capo appena insediato nell’ufficio palermitano a firmare per la revoca della distruzione di quelle bobine. Lo aveva fatto il 20 giugno scorso argomentando che seppure le intercettazioni non avrebbero avuto un rilievo probatorio nei confronti dell’on. Cuffaro, o sotto processo per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e attualmente indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, le telefonate avrebbero potuto autonomamente rappresentare una fonte di prova imputabile ad altri soggetti politici e pubblici ufficiali. Uno fra tutti Silvio Berlusconi a cui potrebbe essere contestata la fuga di notizie relativa a informazioni vincolate dal segreto istruttorio. Le conversazioni in questione sono quelle registrate a cavallo tra il 2003 e il 2004, relative all’inchiesta sulle “talpe” che aveva appena portato all’arresto del maresciallo del Ros Giorgio Riolo, il maresciallo della Dia Giuseppe Ciuro e il manager della sanità Michele Aiello. Tutti personaggi legati a doppio filo con Totò Cuffaro il quale evidentemente temeva di fare la stessa fine. Il blitz infatti era scattato il 5 novembre 2003 e la prima intercettazione con il Cavaliere risale a qualche giorno dopo.
In quelle telefonate ma soprattutto in una che nemmeno era stata trascritta perché ritenuta irrilevante, il Cavaliere di Arcore avrebbe rassicurato Cuffaro di aver saputo che nei suoi confronti ci sarebbe stato un orientamento favorevole all’interno di “alcuni” uffici. Berlusconi avrebbe anche riferito al leader dell’Udc siciliana di aver appreso dall’ex ministro dell’interno Beppe Pisanu che la situazione sarebbe stata tutta sotto controllo. Queste ed altre erano state le conversazioni destinate ad essere neutralizzate secondo una disposizione del gip che affidò l’incarico di distruzione alla Procura. Il decreto però era stato sospeso a causa di un durissimo scontro all’interno della Dda di Palermo fra pm favorevoli e contrari all’eliminazione di quelle prove. Un empasse sbloccato il 20 giugno scorso da Messineo firmatario della richiesta che potrebbe salvare quelle intercettazioni.
All’udienza di venerdì prossimo, nel quale il gup si riserva di ascoltare le parti, hanno già annunciato la loro presenza gli avvocati dell’ex premier: Nicolò Ghedini e Ugo Minacci.

giovedì 11 ottobre 2007

Dalla mafia alla mafia, passando per i reality show e Piero Grasso

Notizia incredibile: dopo anni passati ad occuparsi di reality show, Maurizio Costanzo torna stasera ad occuparsi di mafia. Ospiti nello studio dello show che porta il suo nome saranno Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, Tano Grasso,presidente della Federazione Antiracket, Rosario Crocetta, sindaco di Gela, Francesco La Licata, giornalista e biografo di Falcone, e Giorgio Scimeca, giovane imprenditore che ha denunciato il suo estorsore. Credo sia una trasmissione da vedere, per noi più giovani soprattutto che solo attraverso vecchi video, possiamo ricordare Falcone e Borsellino quando andavano al Maurizio Costanzo show e le memorabili maratone con Samarcanda sulla Rai, condotto da Michele Santoro.

INTERROGHIAMOCI SU PIERO GRASSO
Forse attualmente, per via della cattura di Bernardo Provenzano nell'aprile del 2006, Grasso è acclamato come un eroe. Ma ci ricordiamo come è stato eletto?
Nel 2005 la sua elezione, salutata con giudizi positivi e di stima da parte del centro-destra, non è stata immune da polemiche, in relazione all'estromissione dell'altro candidato, Giancarlo Caselli. Un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario (la c.d. riforma Castelli), noto come "emendamento Bobbio" dal nome del senatore di Alleanza Nazionale Luigi Bobbio, fra l'altro, prevedeva che per aspirare a tutti gli uffici direttivi, esclusi quelli di Cassazione, occorre garantire quattro anni pieni di servizio prima del compimento del settantesimo anno di età: al momento della nomina il candidato non avrebbe dovuto avere più di 66 anni, cioè proprio l'età di Giancarlo Caselli. "La maggioranza di governo non nasconde la finalità contra personam dell'iniziativa, e l’autore dell’emendamento, il senatore Bobbio afferma: "Caselli è indegno di ricoprire quell’incarico. Nel giugno 2007 la Corte Costituzionale dichiara illegittima la norma". (wikipedia). Nel 2005 (quindi PRIMA della cattura di Provenzano) Saverio Lodato e Marco Travaglio spiegano il consenso intorno a Grasso in questo modo:
"I suonatori di quella orchestrina garantista (...) che da anni attaccano magistrati e pentiti, guarda caso, sono gli stessi che applaudono alla serietà del procuratore Grasso. E non lo criticano mai, nemmeno quando mette sotto inchiesta Totò Cuffaro, il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro. Perché? Perché in più di un'occasione ha dimostrato di non volere intentare procedimenti contro uomini politici in assenza di certezze di condanna. Lo ha detto. Lo ha teorizzato".

COSA NE PENSATE?

martedì 9 ottobre 2007

La Marcia della Pace


In quel paese in cui mafia, Chiesa e miseria culturale regnano sovrani, domenica 7 ottobre si marciava per la pace.
Eravamo in duecentomila a percorrere la strada che congiunge Perugia ad Assisi, duecentomila a chiedere la pace in Birmania, in Iraq, in Afghanistan e in tutti i luoghi del mondo che la Storia ufficiale ha dimenticato. C'erano gli scout, le acli, i giovani comunisti, i verdi, qualche bandiera della Sinistra Democratica, qualcuna della Sinistra giovanile, c'erano Libera con Don Ciotti, volontari delle più diverse associazioni, ma soprattutto tanti uomini e tante donne, senza una bandiera, senza un simbolo, senza uno stemma, ma con i colori della pace impressi nel cuore. Ognuno si è incamminato verso Assisi portando con sé la propria esperienza di vita, cercando e offrendo allo stesso tempo sostegno e solidarietà. Noi duecentomila che eravamo lì, a Perugia, abbiamo percorso più di venti chilometri, ed è stato facile, in fin dei conti, vedendo gli altri che andavano avanti con noi, senza fermarsi se non per breve soste. Forse nessuno vorrà ascoltare questa domanda di pace, ma è importante che tutti noi, nel nostro piccolo agire quotidiano, non smettiamo di credere che un altro mondo è possibile. Domenica ho avuto la sensazione che tutti insieme possiamo costruirlo passo per passo, e comunque mi sono convinta che bisogna provarci... perché il bisogno di essere utile agli altri è una delle rarissime cose che dà un senso alla vita.

sabato 6 ottobre 2007

Mastella: ci sei o ci fai?

Come molti in questi giorni, anch'io mi ritrovo a scrivere su Mastella. La domanda che mi pongo è questa: Mastella ci è o ci fa?

Personalmente, non mi stancherò mai di ripetere che i giudici non possono essere isolati, come il Guardiasigilli sta tentando di fare con De Magistris. Ciò a suo tempo accadde per Falcone e Borsellino, che oggi assurgono al rango di figure quasi mitiche e leggendarie, che, tuttavia, prima di morire erano continuamente bersagliate. Un esempio per tutti: Borsellino fu accusato di essere una "toga rossa", quando invece si dichiarava monarchico...
Per quanto riguarda la trasmissione "Anno Zero", sono felice che Santoro si sia occupato della questione del possibile trasferimento di De Magistris, ma spero ancor più vivamente che di essa continuerà ad occuparsi anche quando i riflettori sul Ministro e sul magistrato si saranno spenti, e l'opinione pubblica si starà occupando di qualcos'altro. Ora è facile parlare del problema della legalità in Calabria, di cui, invece, ci si dovrebbe occupare SEMPRE.
Ma torniamo alla domanda di partenza: Mastella ci è o ci fa? Crede davvero in quel che dice o i suoi scopi sono altri?
Poiché non credo che Mastella sia ministro per dono della provvidenza, ma perché ha saputo fare i beni i suoi calcoli, io credo che non crede a quel che dice e i suoi scopi sono ben altri.
Creare un caso di livello mediatico relativamente all'accanimento nei suoi confronti è un pregio di pochi. Berlusconi docet. In questo modo l'attuale Guardiasigilli distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica da quella che è, invece, la questione fondamentale: in Calabria c'è un'indagine in corso che coinvolge sia la sua persona sia il Presidente del Consiglio. La trasmissione di Santoro era proprio ciò che serviva a Mastella: gli ha permesso di creare un gran clamore su tutti i media relativamente alla sua persecuzione. Quindi il Ministro non può far altro, a mio avviso, che inviare un ringraziamento al giornalista...ora ha un altro motivo per ricattare il governo.
Non so se Mastella, penalmente, ha la coscienza a posto, ma, politicamente, certamente no, perché se l'avesse e ritenesse di aver subito un torto in Anno Zero, potrebbe benissimo denunciare per diffamazione Santoro. Ma da bravo politico italiano accorcia i tempi e abusa della sua posizione, rilasciando continue dichiarazioni. I governanti dovrebbero dare risposte al Parlamento, non al pubblico televisivo.
E in tutto questo, Berlusconi se la gode: "Meglio tardi che mai", ha risposto a chi da sinistra si lamenta della presenza dei giudici in tv....

Che bello. Finalmente destra e sinistra hanno trovato un accordo... in coro si alzano voci contro i giudici...peccato che l'avversione nei confronti del potere giudiziario (si noti bene: POTERE giudiziario, perché ricordo che la magistratura costituisce un potere, come il governo costituisce il potere esecutivo e il Parlamento il potere legislativo) era la prima accusa che la sinistra muoveva a Berlusconi.

venerdì 5 ottobre 2007

Grazie Mastella

[Pubblico una lettera di Salvatore Borsellino, ricevuta e pubblicata nel suo blog da Antonio Pagliaro. Chiunque vuole, può pubblicarla]


Voglio ringraziare il ministro Mastella per la sua iniziativa di richiesta di allontanamento per incompatibilità ambientale del giudice De Magistris dalla procura di Catanzaro.

Voglio ringraziarlo pubblicamente perché mi ero ormai convinto che a seguito delle campagne di delegittimazione e di aggressioni di ogni tipo nei confronti della magistratura la gente si fosse ormai assuefatta all’arroganza ed all’impunità dei politici e avesse accettato come normale e ineluttabile questo stato di cose.

Ora invece la reazione provocata da questa iniziativa nell’opinione pubblica, nella gente comune, reazione che sta provocando in tutta Italia raccolte di firme e mobilitazioni spontanee, soprattutto di giovani, a sostegno del magistrato, perché possa continuare il suo lavoro senza intimidazioni e interferenze esterne, mi ha fatto rinascere la speranza che le cose possano ancora cambiare.

Ho sottoscritto insieme a Sonia Alfano una lettera al capo dello stato dove chiediamo che tuteli, come è suo compito, l’indipendenza della magistratura raccomandando al CSM, di cui è il presidente, di rigettare la richiesta del ministro. E chiedergli invece di occuparsi di altri, e ben più gravi problemi della Giustizia, come il caso della Procura di Caltanissetta, dove sono concentrate le indagini sui fatti più gravi della nostra storia recente, quali l’indagine sui mandanti esterni nella strage di via D’amelio e l’indagine sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo, che viene, dal 12 Luglio 2006, lasciata senza una guida e affidata a un reggente.

Voglio però sperare che il sig. Ministro prenda spontaneamente atto della situazione di incompatibilità ambientale che si è creata tra la sua persona e la maggioranza degli italiani e voglia attuare il suo proposito di dimettersi, proposito più volte minacciato, ma finora solo a scopo di ricatto nei confronti della maggioranza di governo.

Il sig. Mastella ama spesso ripetere di essere una persona onesta, non deve quindi temere che le indagini in corso da parte del giudice De Magistris possano coinvolgere la sua persona, potrebbero al massimo coinvolgere il suoi amici o persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene qualche tipo di rapporto, magari non sempre limpido.

Dovrebbe essere anzi grato al giudice De Magistris che con le sue indagini potrà dimostrare l’onestà del sig. Ministro fornendogli una patente di onestà certificata che avrebbe per questo più valore delle sue affermazioni che, agli occhi dell’opinione pubblica, non possono che essere di parte e quindi non obiettive se non addirittura sospette.

Non vorrei però insistere troppo sulla sua persona con il rischio di additarlo come comodo capro espiatorio dei tanti mali della politica italiana, come ha detto Beppe Grillo con una ironia che Il sig. Mastella non e’ stato in grado di capire e che tutta la stampa nazionale ha fatto finta di non capire pubblicando titoli a tutta pagina sulla pretesa pace tra il politico e il comico, e qui lascio al vostro giudizio decidere chi sia il poltico e chi sia il comico, e pubblicando poi solo qualche trafiletto poco visibile quando Beppe Grillo ha chiarito le vere intenzioni della trappola un cui l’aveva fatto cadere.

Il fatto è, sig. Mastella, che una persona come Grillo, che ieri ha fatto di mestiere il comico, oggi è uno dei pochi che fa poltica in modo serio, e quelli che sono stati designati dai partiti italiani per fare i politici e che la gente, in mancanza di altre scelte, ha dovuto votare, si affannano oggi un tutti i modi di fare la parte dei comici in quel cabaret di bassa lega che è diventata la politica in Italia.

Ma lo scenario, purtroppo, non è quello di un cabaret, è quello di una tragedia, la tragedia di un paese allo sbando dove gli equilibri di governo si reggono su ricatti incrociati e dove l’opposizione non aspetta altro che il suicidio del governo per potere subentrare nell’esercizio del potere, ricominciare ad emanare leggi “ad personam” e continuare, come peraltro ha fatto anche questo governo, nell’attuazione di quel patto scellerato tra lo Stato e la mafia per la spartizione del potere e degli appalti in Italia per cui è stato necessario eliminare Paolo Borsellino.

E io purtroppo vedo tante, troppe analogie tra le vicende di ieri e quelle di oggi.

Oggi Paolo Borsellino e Giovanni Falcone vengono additati come degli eroi e, dopo averli uccisi, si cerca ancora di seppellirli a forza di commemorazioni, di lapidi e targhe stradali, quasi a rassicurarsi del fatto che siano veramente morti, ma ieri, quando erano sul punto di arrivare nelle loro indagini al punto focale dei rapporti tra la mafia e la politica, si cercava in tutti i modi di rendergli difficile il lavoro, di isolarli, di costringerli a trasferirsi in altra sede per riuscire a trovare degli spazi per potere continuare le loro indagini.

Anche De Magistris è stato messo in difficoltà dal suo capo, anche De Magistris è stato isolato, anche De Magistris si sta cercando di trasferire per renderlo innocuo, ma si ricordi, sig. Ministro, che per esperienza del passato, l’isolamento di un giudice o di un investigatore è stato sempre il primo passo per additarlo alla vendetta della camorra e della mafia e chi da inizio e determina questo stato di cose non ha minori responsabilità, almeno morali, di chi ne decide l’eliminazione o preme il pulsante di un timer.

Si ricordi però che la gente non sopporterebbe che la storia si ripeta, quella stessa gente che nella cattedrale di Palermo prese a schiaffi e a calci quei politici che pretendevano di sedersi in prima fila davanti alle bare dei ragazzi di Paolo, vi caccerebbe allo stesso modo da un Parlamento nel quale sedete fianco a fianco di personaggi inquisiti, prescritti o già condannati nei primi gradi di giudizio e questa volta non riuscireste a riciclarvi sotto altre sigle e nuovi partiti, a mantenere il potere e ad occupare indegnamente le istituzioni come aveta fatto dopo il disfacimento della prima Repubblica.

Salvatore Borsellino

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: un altro caso archiviato, ma non ancora risolto

La procura di Roma, nel giugno scorso, ha stabilito l'archiviazione dell'indagine sulla morte di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, poiché "le investigazioni suppletive effettuate sul duplice omicidio non hanno consentito di evidenziare ulteriori responsabilità oltre a quelle giudizialmente accertate di Hashi Omar Assan", ritenuto uno dei sette membri del comando che sparò.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, nel corso delle loro indagini su un presunto traffico internazionale di veleni, rifiuti tossici e radioattivi prodotti nei Paesi industrializzati e stivati nei Paesi poveri dell'Africa, in cambio di tangenti e armi scambiate coi gruppi politici locali. Da allora due commissioni di inchiesta hanno cercato di fare luce sul duplice assassinio.
Carlo Taormina, presidente dell'ultima Commissione, che concluse i suoi lavori nel febbraio del 2006, espresse la tesi che l'omicidio sarebbe avvenuto dopo un fallito tentativo di rapimento da parte di alcuni abitanti di Mogadiscio per un presunto risentimento dei somali nei confronti del popolo italiano. Egli, inoltre, dichiarò: «I due giornalisti nulla mai hanno saputo e in Somalia passarono una settimana di vacanze conclusasi tragicamente».
Certamente una tale conclusione non può soddisfare i parenti delle vittime e l'opinione pubblica in generale, dato che, nonostante la condanna in Italia di Omar Assan, molti rimangono gli interrogativi a cui dare una risposta.
Dopo l'archiviazione da parte della Procura di Roma, oggi la parola passa al Parlamento e in particolare al Senato, che, come riferisce l'Unità, sta decidendo in questi giorni se nominare una nuova commissione d'inchiesta. "Sul fatto che permangono ancora molti segreti pochi sembrano avere dubbi e molti tra i senatori si chiedono se è giunto il momento di aprire qualche cassetto rimasto chiuso da allora".

E' fondamentale che la società civile non dimentichi e porti avanti le sue istanze, la sua voglia di verità
. Essa non deve accontentarsi di risposte facili e superficiali da parte della politica, non solo affinché il suo diritto all'informazione venga garantito da chi governa, ma anche perché è una necessità di giustizia sostanziale a richiederlo.

lunedì 1 ottobre 2007

IRRUZIONE IN CASA DI UN GIUDICE ANTIMAFIA

Come apprendo da La Repubblica on line, ieri sera c'è stata un'irruzione in casa di un giudice antimafia a Trapani, mentre era fuori a cena con la famiglia...
Scommetto che i tg faranno un breve passaggio sulla notizia...

MARSALA (TRAPANI) - Il tempo di uscire a mangiare una pizza con la moglie e la figlia piccola, per tornare a casa e trovarla a soqquadro: mobili rovesciati, carte e delicati fascicoli processuali sparpagliati a terra. Ieri sera è stata fatta irruzione nella villa del pm della Dda di Palermo Roberto Piscitiello, che da anni si occupa di delicate indagini su Cosa Nostra nel trapanese.

Poco prima delle 21, il giovane magistrato ha lasciato la villetta di Marsala (Trapani), nella zona dello Stagnone, dove si è trasferito dopo il matrimonio, per andare, accompagnato dall'auto di scorta, in una pizzeria della zona, insieme alla famiglia. I malviventi hanno atteso che il pm si allontanasse per sfondare con una mazza un vetro blindato, dopo avere neutralizzato con una speciale schiuma la centralina dell'allarme. Il sistema d'allarme è entrato nuovamente in funzione solo alle 21.26, cioè trentasei minuti dopo essere stato neutralizzato.

Appena arrivati sul posto, i carabinieri hanno trovato decine di fogli sparpagliati sul pavimento, tra cui appunti e fascicoli processuali. Prima di andarsene, i malviventi hanno bloccato il cancello d'ingresso della villetta con un tubo d'interno, rendendo difficoltoso l'ingresso ai militari e allo stesso magistrato.