domenica 10 maggio 2009

Ricordi di un terremoto

Il mio ultimo post risale alla mia "prima" vita... era il 5 aprile. 
Il 6 aprile ha diviso la mia vita in due parti: il prima e il dopo terremoto: il terremoto che ha distrutto la mia città, il luogo in cui si sono consumati i ricordi di 20 anni di vita. Sapere che quei luoghi non ci sono più è una sensazione terribile, che non auguro a nessuno di provare.
E' terribile essere vivi, quando tanti tuoi coetanei, tanti bambini, tante donne, tanti uomini sono morti sotto le rovine della tua città e tu ci sei ancora. C'eri quando arrivavano le telefonate da parenti e amici su loro, i morti... in pochi attimi scoprivi che una vita era finita, ma non riuscivi a crederci, non realizzavi. 
Com'è possibile che la mia città non esista più?
Siamo dovuti scappare come profughi, da una terra che tremava, ribolliva, fremente di distruzione. 
Siamo dovuti fuggire da ciò che ci era più caro, con il dolore nel cuore, ringraziando egoisticamente di essere vivi, nella consapevolezza di una ingiustizia che nemmeno Dio potrà spiegarci mai. 

2 commenti:

articolo21 ha detto...

Forza Abruzzo! Forza abruzzesi!

Adduso ha detto...

Quando vado su Google Earth, qualche volta mi soffermo sulla fenditura che c’è al largo in profondità nel mare antistante. La stessa fenditura la ritrovo nell’altro versante e non tanto al largo. Mi sento come se fossi su un’isola galleggiante, che può essere scossa in qualsiasi momento. Poi, con l’occhio un pochino allenato, mi accorgo quanto si è alzata la costa di rimpetto e che ogni anno continua ad alzarsi di qualche centimetro. Ma se mi guardo tutt’attorno, mi rendo conto che nessuno se ne preoccupa più di tanto. Quando arriverà, anche qui, neanche nelle strade ci sarà spazio per scappare, perché sono pure tutte stravolte, occupate, piene di ogni opera che possa ingrassare le tasche dei politici e professionisti incaricati di turno.

Il terremoto in Abruzzo, nel grande dramma che ha rappresentato, avrebbe dovuto almeno innescare una riflessione sulla vulnerabilità della nostra terra, schiacciata tra l’Africa, i Balcani e l’Europa, ed invece, nulla, come sempre e come al solito, aspettando il prossimo.