martedì 29 aprile 2008

Ecco chi è il nuovo presidente del Senato che commemora Falcone e Borsellino

E' un po' lungo, ma ne vale la pena: si tratta di un dossier dell'Espresso del 13 agosto 2002 riguardante Renato Schifani, a quell'epoca presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia al Senato.

Capigruppo d'assalto: Una vita da Schifani
Società con presunti uomini d'onore e usurai. Consulenze ricevute dai Comuni in odore di mafia. E poi l'ascesa ai vertici di Forza Italia. Berlusconi? «Per me è come Cavour»

di Franco Giustolisi e Marco Lillo

Quando, dopo una settimana di nottate, blitz e tranelli ha portato a casa l'approvazione della legge sul legittimo sospetto, Renato Schifani ha sottolineato con il consueto senso delle istituzioni la sua vittoria sull'Ulivo: «Li abbiamo fregati». Il capo dei senatori forzisti è fatto così. «È la mia chiarezza che dà fastidio alla sinistra», ha detto a un settimanale che gli ha dedicato un editoriale lodando «lo stile Schifani». Questo avvocato di 52 anni, nonostante il riporto e gli occhiali da archivista, è l'uomo prescelto da Silvio Berlusconi come volto ufficiale di Forza Italia. E lui lo ripaga come può. In un articolo sul "Giornale di Sicilia" dal titolo "Cavour e il conflitto di interessi" afferma che anche lo statista piemontese era «in potenziale macroscopico conflitto di interessi perché aveva il giornale "Il Risorgimento", partecipazioni bancarie, grandi proprietà terriere e un'intensa attività affaristica». Proprio come Berlusconi, insomma, eppure nessuno gli disse nulla. Peccato che, come scrive Rosario Romeo a pagina 451 della sua biografia, Cavour appena diventò ministro «decise in primo luogo di liquidare gli affari nei quali era stato attivo fino ad allora». Ma Schifani per amore del capo è disposto a sfidare anche il ridicolo. Come quando si fa riprendere in tv accanto al santino del leader neanche fosse Padre Pio. Avvocato civilista e amministrativista, 52 anni, sposato e padre di due figli, amante delle isole Egadi, è stato eletto nel collegio di Corleone, cuore di quella Sicilia che ha dato il cento per cento degli eletti a Forza Italia. Per descrivere l'eroe del legittimo sospetto, l'uomo che ha scavato nottetempo la via di fuga dal processo milanese per Berlusconi e Previti, si potrebbe partire dalle sue radici democristiane. Ma applicando alla lettera il suo credo, «non bisogna usare il politichese ma parlare con serenità il linguaggio dell'uomo comune», sarà meglio partire da una constatazione: il capo dei senatori di Forza Italia è stato socio di affari (leciti) con presunti usurai e mafiosi.

Sua eccellenza Filippo Mancuso, solitamente bene informato, ha definito così il suo ex compagno di partito: «Un avvocato del foro di Palermo specializzato in recupero crediti». Schifani gli ha risposto con una lettera in cui difende la sua «onesta e onorata carriera» e nega di avere mai svolto una simile attività. Negli archivi della Camera di commercio di Palermo risulta però una società, oggi inattiva, costituita nel 1992 da Schifani con Antonio Mengano e Antonino Garofalo: la Gms. L'avvocato Antonino Garofalo (socio accomandante come Schifani) è stato arrestato nel 1997 e poi rinviato a giudizio per usura ed estorsione nell'ambito di indagini condotte dal sostituto Gaetano Paci della Procura di Palermo. L'ex socio di Schifani è ritenuto il capo di un'organizzazione che prestava denaro nella zona di Caccamo chiedendo interessi del 240 per cento. Schifani non è stato coinvolto nelle indagini ma certo non deve essere piacevole scoprire di essere stato socio con un presunto usuraio in un'impresa che come oggetto sociale non disdegnava: «L'attività esattoriale per conto terzi di recupero crediti e l'attività di assistenza nell'istruttoria delle pratiche di finanziamento...».

Schifani è stato sempre sfortunato nella scelta dei compagni delle sue imprese. In un rapporto dei carabinieri del nucleo di Palermo, di cui "L'Espresso" è in grado di rivelare i contenuti, si ricostruisce la storia di un'altra strana società di cui il capogruppo di Forza Italia è stato socio e amministratore per poco più di un anno. Si chiama Sicula Brokers, fu istituita nel 1979 e oggi ha cambiato compagine azionaria. Tra i soci fondatori, accanto a un'assicurazione del nord, c'erano Renato Schifani e il ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia, nonché soggetti come Benny D'Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà. Nomi che a Palermo indicano quella zona grigia in cui impresa, politica e mafia si confondono. Benny D'agostino è un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e, negli anni in cui era socio di Schifani e La Loggia, frequentava il gotha di Cosa Nostra. Lo ha ammesso lui stesso al processo Andreotti quando ha raccontato un viaggio memorabile sulla sua Ferrari da Napoli a Roma assieme a Michele Greco, il papa della mafia.

Giuseppe Lombardo invece è stato amministratore delle società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, i famosi esattori di Cosa Nostra arrestati da Falcone nel lontano 1984 e condannati in qualità di capimafia della famiglia di Salemi. Nino Mandalà, infine, è stato arrestato nel 1998 ed è attualmente sotto processo per mafia a Palermo. Questo ex socio di Schifani e La Loggia era il presidente del circolo di Forza Italia di Villabate, un paese vicino a Palermo e proprio di politica parlava nel 1998 con il suo amico Simone Castello, colonnello del boss Bernardo Provenzano mentre a sua insaputa i carabinieri lo intercettavano. Mandalà riferiva a Castello l'esito di un burrascoso incontro con il ministro Enrico La Loggia, allora capo dei senatori di Forza Italia. Mandalà era infuriato per non avere ricevuto una telefonata di solidarietà dopo l'arresto del figlio (poi scagionato per un omicidio di mafia). E così raccontava di avere chiuso il suo colloquio con La Loggia: «Siccome io sono mafioso ed è mafioso anche tuo padre che io me lo ricordo quando con lui andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga. Lo posso sempre dire che tuo padre era mafioso. A quel punto lui si è messo a piangere». La LoggiaLa Loggia». ha ammesso l'incontro ma ne ha raccontato una versione ben diversa. E anche Mandalà al processo ha parlato di millanteria. Nella stessa conversazione intercettata Mandalà parlava di Schifani in questi termini: «Era esperto a 54 milioni all'anno, qua al comune di Villabate, che me lo ha mandato il senatore

Schifani è stato sentito dalla Procura e, senza falsa modestia ha spiegato con la sua bravura la consulenza e lo stipendio: «Il mio studio è uno dei più accreditati in campo urbanistico in Sicilia». Ma per La Loggia sotto sotto c'era una raccomandazione: «Parlai di Schifani con Gianfranco Micciché (coordinatore di Forza Italia in Sicilia) e dissi: sta sprecando un sacco di tempo e quindi avrà dei mancati guadagni facendo politica. Vivendo lui della professione di avvocato dico se fosse possibile fargli trovare una consulenza. È un modo per dirgli grazie. E allora parlammo con il sindaco Navetta». Il sindaco Navetta è il nipote di Mandalà e il suo comune è stato sciolto per mafia nel 1998.

Il capogruppo di Forza Italia è stato sfortunato anche nella scelta dei suoi assistiti. Proprio un suo ex cliente recentemente ne ha fatto il nome in tribunale. La scena è questa: Innocenzo Lo Sicco, un mafioso pentito, il 26 gennaio del 2000 entra in manette in aula a Palermo e viene interrogato sulla vicenda di un palazzo molto noto in città, quello di Piazza Leoni. Le sue parole fanno balenare pesanti sospetti: «L'avvocato Schifani ebbe a dire a me, suo cliente, che aveva fatto tantissimo ed era riuscito a salvare il palazzo di Piazza Leoni facendolo entrare in sanatoria durante il governo Berlusconi perché, così mi disse, fecero una sanatoria e lui era riuscito a farla pennellare sull'esigenza di quegli edifici. Era soddisfattissimo. Perché lo diceva a me? Ma perché io lo avevo messo a conoscenza di qual era la situazione, l'iter, le modalità del rilascio della concessione...».

La Procura dopo aver analizzato le parole del pentito non ha aperto alcun fascicolo per la genericità del racconto. Comunque la storia di questo palazzo, scoperta dal giornalista de "la Repubblica" Enrico Bellavia, è tutta da raccontare. Comincia alla fine degli anni Ottanta quando Pietro Lo Sicco, imprenditore finanziato dalla mafia e zio di Innocenzo, mette gli occhi su un terreno a due passi dal parco della Favorita, una delle zone più pregiate di Palermo. Lo Sicco vuole costruirci un palazzo di undici piani ma prima bisogna eliminare due casette basse che appartengono a due sorelle sarde, Savina e Maria Rosa Pilliu, che non vogliono svendere. Pietro Lo Sicco le minaccia e le sorelle si rivolgono alla polizia. Ma la mafia è più lesta della legge: Lo Sicco ottiene la concessione edilizia grazie a una mazzetta di 25 milioni di lire e comincia ad abbattere l'appartamento a fianco. Quando le sorelle vedono avvicinarsi il bulldozer cominciano ad arrivare nel loro negozio i fusti di cemento. Il messaggio è chiaro: finirete lì dentro. Lo Sicco smentisce di essere il mandante ma la Procura offre alle Pilliu il programma di protezione. Oggi le sorelle sono un simbolo dell'antimafia: vivono proprio nel palazzo costruito da Lo Sicco e confiscato dallo Stato. Il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.

All'inaugurazione del nuovo negozio costruito grazie al fondo antiracket, il senatore Schifani non c'era. Era dall'altra parte in questa vicenda. Il suo studio ha difeso l'impresa Lo Sicco davanti al Tar. Il pentito Innocenzo Lo Sicco, ha raccontato che lui stesso accompagnava l'avvocato Schifani negli uffici per seguire la pratica. Certo all'epoca l'imprenditore non era stato inquisito e il senatore non poteva sapere con chi aveva a che fare anche se il genero di Lo Sicco era sparito nel 1991 per lupara bianca. In quegli stessi anni Schifani assisteva anche altri imprenditori che sono incappati nelle confische per mafia, come Domenico Federico, prestanome di Giovanni Bontate, fratello del vecchio capo della cupola Stefano. Un settore quello delle confische che il senatore non ha dimenticato in Parlamento. Quando ha presentato un progetto di legge (il numero 600) per modificare la legge sulle confische e sui sequestri.


domenica 27 aprile 2008

Riflessioni sulla Calabria

E' molto grave quanto successo nella procura della Repubblica di Reggio Calabria, dove il pubblico ministero Nicola Gratteri sta svolgendo indagini delicatissime, quali quelle sulla strage di Duisburg, sui presunti brogli elettorali in cui sarebbe coinvolto Marcello Dell'Utri, nonché sui favori alle cosche mafiose da parte del senatore De Gregorio.
Gratteri è uno di quei tanti magistrati sotto scorta che cercano di combattere la 'ndrangheta, scorta che gli è stata rafforzata nel 2005, dopo il ritrovamento a Gioia Tauro, da parte dei Carabinieri, di un arsenale di armi destinato ad ucciderlo.
La scoperta avvenuta a Reggio Calabria è solo la punta dell'iceberg, rappresentato dalla situazione insostenibile in cui versa la magistratura in Calabria, dove indagini ritardate, intimidazioni ai giudici, decorso "agevolato" dei termini di prescrizione sono all'ordine del giorno.
Nessuno sembra interessarsi seriamente alla mafia più forte d'Italia, che detiene quasi un totale monopolio del traffico di droga nel nostro paese.
"(...) Per sciogliere un nodo così serrato, come fu chiaro dopo l'assassinio in un seggio elettorale di Francesco Fortugno o la strage di Duisburg, sarebbe stata necessaria una battaglia nutrita di un alimento etico-politico; un adeguato sostegno allo spirito pubblico; il coinvolgimento di individui e gruppo, élite e popolo su obiettivi comprensibili e condivisi capaci di rendere concreta la convenienza della legalità e assai fallimentare la scelta dell'illegalità. (...) La verità è che non è mai riuscita a diventare una priorità né dei pubblici poteri né dell'opinione pubblica la distruzione di un'organizzazione criminale capace di controllare un terzo del traffico di cocaina del mondo con profitti per decine di miliardi di euro né un'urgenza il riscatto di una regione dove operano 112 cosche, c'è un'intensità criminale del 27 per cento (pari a una persona su quattro), con un epicentro nel Reggino di 4-5 mila affiliati su una popolazione di 576 mila abitanti.
L'affare è precipitato, come sempre accade in casa nostra, sulle spalle della magistratura (...)".
Giuseppe D'Avanzo, La Repubblica, 27 aprile 2008

sabato 26 aprile 2008

TALPA ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI REGGIO CALABRIA

Da La Repubblica

REGGIO CALABRIA
- Alla procura della Repubblica di Reggio Calabria c'è una "talpa" - forse, è addirittura un magistrato. Il 22 aprile scorso è stato ritrovata una microspia in un ufficio. E' un locale dove per precauzione - non ritenendo "sicura" la sua stanza - il pubblico ministero Nicola Gratteri, titolare dell'inchiesta sulla strage di Duisburg, incontra la polizia giudiziaria, concorda e dispone le indagini, prende in esame le fonti di prova raccolte.

La microspia, per quel che se ne sa, non è un prodotto molto raffinato. Funziona a batteria, e quindi necessita di ricariche periodiche. Ha un'antenna che diffonde le intercettazioni in un raggio non superiore ai venti metri.

Le due circostanze lasciano pensare agli investigatori che la "talpa" sia a pochi passi da quella stanza e possa essere addirittura un magistrato. Negli ultimi mesi, le inchieste della Procura di Reggio Calabria sono state danneggiate sensibilmente dalle fughe di notizie, secondo alcuni pubblici ministeri, "pilotate" ad arte per sabotarle. E' accaduto così per le indagini sulle relazioni pericolose del senatore Sergio De Gregorio e i rapporti tra Marcello Dell'Utri e il "faccendiere" Aldo Micciché che prometteva di poter manipolare i voti degli italiani del Sud America.

giovedì 17 aprile 2008

COME COMBATTERE LA MAFIA SECONDO LOMBARDO



"Il ponte sullo stretto va fatto e se c'è la mafia la si prende a calci nel sedere" afferma il nuovo governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. "A chi dice che rischia di essere un regalo alla mafia replico che è un luogo comune di chi non vuol fare nulla in Sicilia" (Notizia Ansa).

lunedì 14 aprile 2008

giovedì 10 aprile 2008

CENSURA DI FORZA NUOVA

Ieri a Bologna l'associazione studentesca Giurisprudenza Democratica (di cui faccio parte) aveva in programma di proiettare nella facoltà di Giurisprudenza "Nazirock", un documentario di Claudio Lazzaro, già autore di Camicie Verdi, in cui si documenta l'attività del partito neo-nazifascista (e quindi, come tale, incostituzionale) Forza Nuova.
La proiezione del film è stata impedita - come già accaduto in altre parti d'Italia - in quanto Forza Nuova ha diffidato l'università e la facoltà, che ha, dunque, bloccato l'iniziativa. La motivazione? Non può trattarsi di diffamazione in campagna elettorale, in quanto il film riporta solo delle interviste (certamente aberranti) di esponenti di Forza Nuova. Non può trattarsi neppure della violazione della legge 28/2000 sulla par condicio, in quanto essa riguarda solo le emittenti radio-televisive e i giornali.
Si tratta di censura.
I fascisti in questo paese incutono ancora paura.
E' una cosa incredibile!
FORZA NUOVA DEVE ESSERE SCIOLTA!
Appendice XII Disposizione Transitoria e Finale alla Costituzione
E' vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.


mercoledì 9 aprile 2008

INDAGATO IL SENATORE DE GREGORIO PER FAVORI ALLE COSCHE MAFIOSE

Dal Corriere della Sera

REGGIO CALABRIA - La procura della Repubblica di Reggio Calabria ha iscritto nel registro degli indagati il senatore Sergio De Gregorio. L'accusa per il leader del movimento «Italiani nel Mondo » è associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al riciclaggio. L'ex imprenditore napoletano, oggi uomo delle istituzioni, presidente uscente della commissione Difesa di Palazzo Madama e candidato alle prossime elezioni nelle fila del Pdl, nel collegio della Campania, secondo l'accusa, avrebbe favorito alcuni prestanome delle cosche reggine nell'acquisto di un immobile adibito, sino a qualche tempo fa, a caserma dell'Esercito, la «Mezzacapo» di Reggio Calabria. Uno stabile situato a piazza Sant'Agostino al centro della città, a due passi dalla Questura.

Contro di lui gli inquirenti hanno raccolto indizi «schiaccianti » fatti di riscontri filmati ed intercettazioni telefoniche ed ambientali. Dopo le tegole di Napoli e Roma anche la procura di Reggio Calabria s'interessa quindi delle vicende del senatore De Gregorio. De Gregorio è indagato assieme al consigliere regionale di Alleanza nazionale, Alberto Sarra, ex assessore al personale della Regione Calabria. Anche per Sarra l'ipotesi dell'accusa è associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. Il consigliere di An in questi giorni è al centro di un' aspra polemica tra magistrati della distrettuale e quelli della corte d'appello. Il procuratore aggiunto Boemi, i pm Giuseppe Lombardo e Roberto di Palma, avevano infatti richiesto per Sarra l'arresto in merito ad un'altra inchiesta. La procura generale ha invece avocato l'indagine per una presunta fuga di notizie. Alberto Sarra sarebbe stato il politico - secondo quanto avrebbero accertato gli inquirenti- che ha presentato il senatore De Gregorio ad alcuni esponenti della cosca Ficara, una delle più potenti di Reggio Calabria. Sarra e De Gregorio sono stati filmati per due volte al ristorante La Quercia, in località Trunca, sulle colline di Reggio. A tavolo con loro i carabinieri hanno notato anche esponenti delle cosche reggine. Una cena per così dire «di lavoro » dove si è parlato di acquisto di immobili, ma anche di politica. Le microspie e l'occhio delle telecamere hanno registrato e ripreso i dialoghi tra tutti i commensali. Le decisioni prese avrebbero riguardato acquisti d' immobili. L'amicizia tra Sarra e De Gregorio, risalirebbe allo scorso maggio.

Per due volte il senatore è stato intercettato in riva allo Stretto. Le date coincidono con la campagna elettorale per le amministrative di Reggio Calabria. Il fondatore di «Italiani nel Mondo » ha infatti appoggiato la candidatura a sindaco di Giuseppe Scopelliti, di Alleanza nazionale, aderendo al cartello del centro destra con una propria lista legata al Cdc (Centro democratico cristiano), il cui presidente onorario era Alberto Sarra. Un successo per De Gregorio che è riuscito a piazzare un proprio consigliere, Demetrio Strati, detto «Pastina» che ha ottenuto 3847 voti, pari al 3,28 per cento.

martedì 8 aprile 2008

DELL'UTRI DOCET

Sintesi dell'immaginario politico di Marcello Dell'Utri

Punto 1
: revisione dei libri di storia, condizionati dalla retorica della Resistenza.
Se il signor Dell'Utri non lo sa, la Resistenza c'è stata per davvero. Ah, va bè, ma Marcello non ha avuto tempo di studiare... già nella culla era impegnato a fare magheggi!

Punto 2: la sinistra ha in mano tutte le case editrici.
Eh? La Mondadori di chi è?
Punto 3: gli storici di sinistra hanno ignorato il massacro dei gay durante l'Olocausto.
Io ho sempre studiato del massacro degli omosessuali durante la Seconda guerra mondiale. E ho studiato su un libro di uno storico di sinistra (Antonio Brancati). Va be', sarà un caso...

Punto 4: tutti i pentiti di mafia sono insani di mente.
E' normale: ma se i p.m. che li usano sono insani di mente, come potrebbero scegliere pentiti sani?
Però qui c'è un "leggero" conflitto di interessi: magari qualche pentito ha accusato proprio Marcellino in uno dei processi politici, voluti dai giudici comunisti, in cui è stato ingiustamente coinvolto...

Punto 5: Mangano è un eroe. Davvero.

Con questo bijou, e senza parole, chiudo.

Fonte: Corriere della sera
Appendice I: Chi è Marcello Dell'Utri
Sul nostro illustrissimo c'è una letteratura sconfinata in internet e in libreria.
Sulla rete vi consiglio: Wikipedia e Stato a rovescio di Nicola Andrucci, che potete scaricare dal suo blog.
In libreria vi consiglio uno dei libri base dell'antimafia: ovviamente gli Intoccabili di Marco Travaglio.

Appendice II: Chi è Vittorio Mangano
Basta dare un'occhiata veloce a Wikipedia per credere, davvero, che sia un eroe., nonché guardare l'ultima intervista a Paolo Borsellino, qui nel mio blog...



sabato 5 aprile 2008

Parliamo di Mafia Cinese: prima puntata

La lesione dei diritti umani in Cina è molto grave e da più parti del mondo si è alzata una voce per il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino, la cui cerimonia d'apertura è prevista per l'8 agosto 2008, a causa soprattutto delle ultime repressioni verificatesi in Tibet.
Il Comitato Olimpico Internazionale aveva espresso forti perplessità sui ritmi di lavoro con cui gli impianti sportivi sono stati costruiti, mentre la Comunità internazionale chiedeva un'apertura sul piano delle libertà politiche.
Secondo la campagna di boicottaggio lanciata da Beppe Grillo, le Olimpiadi in nessun modo aiuteranno la popolazione locale, ma tutti i guadagni saranno spartiti tra governo e mafia cinese.
Cos'è la mafia cinese?
La Triade, così chiamata per il triangolo, posto nell’ideogramma Hong, simboleggiante la relazione armoniosa fra la terra, il cielo e l’uomo, ha origini antichissime: fondata nel XVII secolo come società segreta per combattere la dinastia Qing, è divenuta oggi un'organizzazione criminale ramificata in tutto il mondo, che controlla completamente l'economia di Hong Kong e Taiwan. Le sue attività principali sono lo sfruttamento della prostituzione, il traffico di organi, il gioco d'azzardo. La DIA ha pubblicato di recente un rapporto sulle mafie estere in Italia. Una peculiarità della mafia cinese è la capacità di saper perfettamente utilizzare passaporti e documenti di persone decedute, per rendere legittima la posizione di individui vivi e vegeti, confidando nella somiglianza dei tratti somatici esistente tra i connazionali.
Ma ciò che rende la mafia cinese davvero particolare, almeno in patria, è il suo rapporto con il governo.
A seguito della vasta opera di corruzione dei funzionari statali e del partito comunista, quest'ultimo ha optato per la via della coabitazione con le triadi. L'8 aprile 1993 il rapporto tra governo e triadi è stato ufficializzato. Il ministro della polizia cinese Tao Siju in quell'occasione dichiarò: "i membri delle Triadi non sono tutti dei gangsters. Se essi sono dei buoni patrioti, se assicureranno la prosperità di Hong Kong, noi dobbiamo rispettarli". Attualmente solo in patria si contano 150.000 organizzazioni criminali, collegate ad altre 600.ooo mila di media importanza.

Per maggiori informazioni vedi l'ottima ricerca del liceo Berchet di Milano.

venerdì 4 aprile 2008

Fare la spesa in un supermercato Despar ha finanziato la mafia

A Palermo sono stata ad un supermercato Despar. Bene. Ho finanziato la mafia.
E' stato arrestato il gestore esclusivo del marchio Despar nella Sicilia orientale, Giuseppe Grigoli, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa, sarebbe stato il prestanome di Matteo Messina Denaro, super boss latitante della mafia, ritenuto l'erede di Bernardo Provenzano. Il provvedimento cautelare è stato emesso su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Roberto Piscitello e Michele Prestipino, ed è stato eseguito da agenti della squadra mobile di Trapani, Palermo e Agrigento.
Dai pizzini di Provenzano è emerso il legame fiduciaro tra Grigoli e il boss (che avrebbe fruttato alla mafia 200 milioni di euro) nonché grazie alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, Maurizio Di Gati.

Queste cose riempiono il cuore di gioia.