giovedì 6 marzo 2008

TANTI FILM IN USCITA SULLA MAFIA

Dall' Espresso

Un ragazzo cammina per le strade di Scampia, il quartiere delle famose Vele, i palazzoni divenuti il simbolo del degrado, del delirio architettonico prosperato tra le sterpaglie all'estrema periferia sud di Napoli. Maglietta azzurra, tuta pantalone, scarpe sportive. Il ragazzo non si accorge dell'arrivo di due tipi a bordo di un grosso scooter, né della pistola che il passeggero con il casco gli punta addosso per sparargli. Il giovane finisce a terra, colpito a morte. Lo scooter si allontana indisturbato. La gente attorno ostenta indifferenza. Nessuno sembra fare caso a quel corpo steso in un lago di sangue. Neppure i curiosi affacciati alle finestre dei palazzoni circostanti. Questa scena è finita su YouTube. Qualcuno l'ha ripresa con un telefono cellulare e trasferita in Rete. Scippata direttamente non dalla realtà, ma dal cinema. Si tratta infatti di una sequenza di 'Gomorra', il film tratto dal bestseller di Roberto Saviano che Matteo Garrone, il regista de 'L'imbalsamatore' e di 'Primo amore', ha recentemente ultimato di girare. Le immagini sono di un tale realismo che la scena ha tratto in inganno diversi media. Qualcuno ha creduto di vedere un vero omicidio e ha denunciato il fatto alla polizia. Un cortocircuito mediatico che riporta agli anni Sessanta, quando era consuetudine giornalistica utilizzare le immagini del film 'Le mani sulla città' di Francesco Rosi per illustrare le inchieste sulla corruzione e il sacco edilizio di Napoli. Allora Internet non esisteva e nemmeno i cellulari. Oggi come ieri è arduo distinguere le immagini vere da quelle ricostruite. Ma è ancora una volta il cinema che ci costringe a prendere atto della realtà dei fatti. Dopo Francesco Rosi, dopo Elio Petri e Damiano Damiani, dopo Marco Tullio Giordana dei 'Cento passi', una nuova generazione sembra raccogliere il testimone del cinema di impegno civile. Oltre all'attesissimo 'Gomorra' (in uscita a maggio e in predicato per il Festival di Cannes), in sala sbarcheranno presto altri film dedicati a mafia, camorra, Sacra corona unita.

Di quest'ultima, la cosiddetta 'quarta mafia' pugliese, si occupano due pellicole in particolare. 'Fine pena mai', realizzato dai giovani filmaker Davide Barletti e Lorenzo Conte (uscita il 29 febbraio), è tratto dal romanzo autobiografico 'Vista d'interni' (Manni Editori) e racconta le vicissitudini di Antonio Perrone (Claudio Santamaria), rampollo di una benestante famiglia salentina e protagonista di una curiosa e drammatica parabola criminale. Negli anni Settanta per vivere la sua vita spericolata, tutta champagne, pistole, auto di lusso e cocaina, Perrone finì coinvolto nelle logiche spietate della nascente Sacra corona unita. E fu condannato a 49 anni di carcere, pena che sta tutt'ora scontando in stato di isolamento, in base all'articolo di legge 41 bis. L'altro film, 'Galantuomini' (uscita a maggio), segna il ritorno dietro alla macchina da presa di Edoardo Winspeare, il regista di 'Sangue vivo', a quattro anni dal suo ultimo lungometraggio, 'Miracolo'. Ambientato anche questo nel Salento, terra che Winspeare, originario di Depressa (provincia di Lecce), conosce assai bene, narra la tormentata storia d'amore tra un magistrato (Fabrizio Gifuni) e la sua ex fiamma adolescenziale (Donatella Finocchiaro), divenuta nel frattempo una insospettabile boss della Santissima. "Nel film racconto il mio shock di fronte allo spettacolo di una terra che ha perduto la sua verginità", spiega Winspeare. "Fino ai primi anni Settanta, la Puglia era un'isola felice. Esisteva la mala a livello locale, ma il crimine organizzato non controllava ancora il territorio". Ed è proprio per opporsi allo strapotere dei clan camorristi campani che nel carcere di Bari, su iniziativa del boss Pino Rogoli (detto Dio), con un rituale copiato dalla 'ndrangheta, nasce nel 1983 la Sacra corona unita, l'unica mafia che è stata sconfitta dai magistrati. Rispetto al cinema di denuncia degli anni Sessanta Winspeare sente una rispettosa distanza: "Il mio non è un film morale, racconta delle emozioni, non parte da un tema, ma dai personaggi". Di fatto, anche il regista salentino si è basato su una poderosa mole di inchieste e di ricerche storiche, esattamente come Rosi nel 'Bandito Giuliano' e in 'Mani sulla città'. Fra i consulenti anche due magistrati antimafia, Cataldo Motta e Leone de Castris. "Lo sfondo è la perdita dell'innocenza della Puglia anni Novanta, ma il cuore del film", dice Winspeare, "è la storia di un amore impossibile tra un uomo di legge e una criminale".

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