giovedì 20 dicembre 2007

Nuovo Commissario Straordinario per la confisca dei beni alla mafia

Antonio Maruccia, magistrato, è stato nominato Commissario Straordinario per la confisca dei beni alla mafia, organo che era stato soppresso nel 2003.
La nomina è stata così commentata da Don Luigi Ciotti:

"La nomina del neo commissario straordinario e' un passo importante verso la creazione di un'Agenzia nazionale per la gestione dei beni sottratti alle mafie. E' sempre più necessario lavorare ad un'unica cabina di regia che assicuri rapidità e trasparenza al procedimento di destinazione e gestione dei beni e una programmazione dei progetti di riutilizzo sul territorio. Auspichiamo che presto venga presentato un disegno di legge di istituzione dell'Agenzia e che il suo iter parlamentare di approvazione sia il più rapido possibile"

Ho avuto modo di sentire parlare il professore Maruccia nell'ambito dei seminari organizzati da Libera nella facoltà di Giurisprudenza di Bologna.
Il magistrato è il creatore del corso di Legislazione Antimafia presso l'università di Lecce.
Mi sembra un'ottima cosa il ripristino di un organo centrale che possa coordinare dall'alto l'opera di confisca dei beni, che per ora in molti casi (ma non tutti, per fortuna) è disordinata e priva di successi proficui.

E' attivo un indirizzo 'e-mail' per le segnalazioni e le domande dei cittadini: beniconfiscati@governo.it .

mercoledì 12 dicembre 2007

Natale all'insegna della legalità



Libera promuove il progetto "Il Natale di Libera 2007", offrendo pacchi natalizi con prodotti provenienti dalle terra confiscate alle mafie, ora coltivate dalle cooperative sociali impegnate nella lotta contro la mafia. Per maggiori info andate sul sito di Libera.
Mi sembra una bella cosa portare ai propri cari oltre a un messaggio di auguri, un messaggio di legalità.

lunedì 10 dicembre 2007

La Mafia Spa ricicla anche in Abruzzo

Riporto un articolo riportato nel quotidiano online "Cronaca d'Abruzzo" scritto da Piero Carducci, presidente dell'Abruzzo Lavoro, agenzia dell'impiego nell'omonima regione del Centro Italia.

E’ la mafia la prima azienda italiana: con i suoi 90 miliardi di euro di fatturato annuo, non teme rivali. Una somma esorbitante pari a tre manovre finanziarie “pesanti” che viene generata da attività molto diversificate: sfruttamento della prostituzione, traffico di droga e armi, estorsione ed usura. Un giro d’affari in continua espansione, un’industria che non conosce crisi. L’azienda mafiosa ha i suoi manovali, addetti ai lavori sporchi, ed i suoi dirigenti in colletto bianco, che si curano del riciclaggio dei proventi delle attività illecite, operando in un cono d’ombra dove è sovente opaco il ruolo svolto dalle banche e dalle società finanziarie.
Insomma, la “Mafia Spa” si inserisce ad un certo punto nel mercato - anche grazie alla complicità di “normali” operatori - compra alberghi e ristoranti, lavanderie e autorimesse, villaggi turistici e barberie, che operano nell’”economia legale” come una qualsiasi azienda. E qui c’entra l’Abruzzo. La nostra regione non è territorio di mafia, nel senso proprio del termine, ma è uno di quei territori relativamente tranquilli scelto dalla “Mafia Spa” per ripulire il denaro sporco, grazie all’attività di prestanome e di società che investono nel mercato. Investimenti che prediligono attività di particolare redditività. La mafia investe sul sicuro, a partire dal mattone. Ed accade così che, applicando elementari calcoli statistici, viene fuori che in Abruzzo sono troppi i palazzi e gli alberghi, gli sportelli bancari ed i centri commerciali, sono troppi i ristoranti ed i locali notturni, sono troppe finanche le lavanderie. Si tratta di attività perfettamente legali che svolgono una duplice funzione: da un lato, assorbono i denari provenienti dal giro d’affari criminoso, dall’altro, forniscono un consistente utile annuo alla “Mafia Spa”. Si tratta di beni commerciabili che, all’occorrenza, possono essere venduti fornendo ingenti capitali da reinvestire. Ed è questo del patrimonio il punto sensibile del mafioso e d’attacco di qualsiasi efficace strategia di contrasto alla criminalità organizzata. Molto più efficace della appariscente cattura dei boss latitanti, pure utile ma dai risultati effimeri, poiché come in tutte le aziende che si rispettino nessuno è indispensabile e, pertanto, i boss catturati vengono rapidamente rimpiazzati. Il patrimonio, invece, non è facilmente e rapidamente ricostituibile. La confisca del patrimonio, inoltre, mette in pericolo l’intera circolazione del capitale dell’organizzazione, che si trova privata del denaro fresco necessario al pagamento degli “stipendi”, all’acquisto delle materie prime (ad esempio la droga grezza) ed all’espansione su nuovi mercati. Ecco perché a un mafioso poco importa di fare il carcere per traffico di droga (con pene normalmente inferiori ai 5 anni), mentre interessa moltissimo preservare il patrimonio accumulato che consente ai criminali di sistemare le famiglie praticamente per sempre e di preservarne la capacità di espansione. La strada da seguire per combattere la grande criminalità è dunque quella del tracciare i patrimoni, a partire dalle regioni, tra le quali è l’Abruzzo, dove la mafia ha trovato un terreno favorevole allo stabile radicamento, per via dell’investimento in attività lecite dei proventi illeciti. Il percorso è molto lungo, le difficoltà enormi, le complicità politiche ed economiche diffuse, ma l’unica maniera per contrastare l’inquinamento sociale ed economico rappresentato dai miliardi di euro sporchi della mafia è la confisca dei patrimoni. Banche collaborando...

sabato 8 dicembre 2007

Luttazzi e la libertà di parola in Italia

La Costituzione in questo paese è carta straccia.
Qualche esempio ...

Art 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Eppure il governo per il voto contrario di una psichiatra dell'Opus Dei si impegnerà a cambiare un testo contro le discriminazioni verso gli omosessuali...

Art 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Quattro morti per un incendio in un'acciaieria di Torino...
che si uniscono a tutti gli altri morti di oggi e di ieri, nonché a tutti i feriti rimasti permanentemente invalidi.

Art 7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Però i Dico (e molto altro) sono stati bloccati perché i politici oggi rispondono alla Chiesa e non ai loro cittadini.

Non voglio tediarvi con mille altri esempi. Oggi però la satira ha subito un altro duro colpo. La libertà dell'arte e della libertà di parola sono state calpestate ancora una volta.
La 7 ha chiuso il programma di Luttazzi . Il comico sarebbe stato offensivo verso Ferrara... ma c'è molto altro dietro, sono convinta.
Vi invito a mettere il banner creato da Il democritico che vedete nel mio blog per manifestare la vostra contrarietà a una decisione tanto assurda.


Quest' Italia non può essere una democrazia... e se va avanti così, non lo sarà mai.

mercoledì 5 dicembre 2007

E' partito democratico...e mafioso?

Apprendo dal blog di Benny Calasanzio (a cui va tutto il mio ringraziamento) che Vladimiro Crisafulli, altrimenti noto come "Mirello", ha aderito al nuovo Partito Democratico. Crisafulli era candidato nel collegio di Enna per la lista Democratici con Genovese e Veltroni, lista che ha preso il 74,88 % delle preferenze, pari a 8564 voti. Naturalmente, il nostro Vladimiro, trovandosi al secondo posto nella lista, è stato eletto.
D'altronde, Mirello era il più potente dei diessini siciliani e dichiarò in passato di essere sicuro di vincere le elezioni ad Enna con qualsiasi sistema elettorale, persino con il sorteggio.
Come meravigliarsi? D'altronde è noto che Crisafulli aveva contatti con la mafia siciliana... alt! Nessuno è colpevole finché non è stato condannato! Ok, ok...
Ma quindi non dovremmo neanche fidarci dei nostri occhi e delle nostre orecchie?
Il video che mostra Mirello il 19 novembre 2001 parlare con il boss di Enna Raffaele Bevilacqua di appalti e tangenti deve essere ignorato... si perché è vero che il nostro amico per questo è stato indagato, ma non è stato condannato... certo. In Italia si perdona tutto, non c'è differenza tra responsabilità politica e responsabilità giudiziaria. Bè, ma se Andreotti parlò con Riina ed oggi è senatore a vita, che sarà mai se un politico locale, solamente "sospettabile" di essere vicino alla mafia, siede nell'assemblea regionale di un partito?
Però.. il PD non doveva ridare speranza ai giovani? E il suo manifesto non recita che "L’Italia deve liberarsi dalla mafia e dalle forme deviate di esercizio del potere politico e burocratico, che hanno costituito in alcune aree del Paese vere e proprie «strutture di dipendenza», e tengono soggiogata la società civile, distorcendo i rapporti tra cittadini e istituzioni"?

Ha davvero ragione Benny Calasanzio quando dice: "Alla mafia, caro Walter, è difficile rinunciare, ma si deve avere l'onesta di ammetterlo".

sabato 1 dicembre 2007

Una notizia positiva sul fronte dei beni confiscati a Corleone

Le chiavi della casa confiscata ai Grizzaffi, nipoti di Totò Riina, a Corleone, sono state consegnate oggi, nel corso di una cerimonia pubblica, alla cooperativa Lavoro e non solo, costituitasi nel 2000, che già gestisce un'azienda agricola su terreni confiscati alla mafia nel territorio di Corleone e Monreale.
L'immobile sarà utilizzato come ostello per i volontari che arriveranno in paese per il progetto Liberarci dalle spine. Inoltre, vi avrà sede il primo sportello antiracket gestito dal circolo IncontrArci di Corleone.

Notizie di tal genere sono molto positive e dovrebbero essere diffuse il più possibile: è un peccato creare discussioni infinite intorno ad una fiction televisiva, le quali rendono forte la mafia, e non sostenere, invece, chi giorno dopo giorno lavora nella propria terra affinché le cose possano finalmente cambiare.

giovedì 29 novembre 2007

DI MAFIA PARLINO (SOLO) LE SENTENZE?

Su La Stampa compare oggi un articolo di Andrea Camilleri relativamente alla vicenda "Mastella vs fiction sulla mafia". Lo scrittore, pur trovandosi in disaccordo con il Ministro su vari punti delle sue dichiarazioni a proposito della fiction "Il capo dei capi", scrive:

"Io personalmente ritengo che l’unica letteratura che tratti di mafia debba essere quella dei verbali di polizia e carabinieri e dei dispositivi di sentenze della magistratura. A parte i saggi degli studiosi, naturalmente. E poi, che significa che questo sceneggiato è ben fatto? Tecnicamente, sì, certo. Ma, di necessità, è assai riduttivo. Per esempio, è quasi impossibile rendere in uno sceneggiato la concezione solare che della vita hanno, faccio dei nomi a caso, le famiglie Cassarà, Borsellino, Falcone rispetto a quella oscura, cupa e chiusa dei Riina e dei Bagarella. È uno degli elementi che non si possono e non si devono trascurare, perché altrimenti tutto diventa la rappresentazione di una serie di conflitti a fuoco e non dell’unico vero conflitto tra due culture: una di vita e l’altra di morte".

Questa dichiarazione di Camilleri mi lascia un pò perplessa. Dove va a finire l'arte?
Probabilmente Riina apparirà come un eroe (ma poi...possibile che sia veramente così?) e probabilmente la fiction non avrà coraggio in determinate occasioni... ma il problema non è quello!!!

Il problema è il clima in cui viviamo, le ombre che ci circondano... di mafia si parla poco e male: di questo personalmente mi preoccuperei. Perché in prima serata non si fa un bel documentario su tutta la storia dell'arresto di Riina? Perché non si fa un approfondimento sulle stragi di Capaci e di Via d'Amelio?

A Mastella, Ministro della Giustizia, nostro GUARDIASIGILLI
Perché puntare il dito solo contro le fiction? Perché non farlo contro l'omertà che regna in tv?

Concludo con le parole di Claudio Gioè, protagonista della fiction:

"Noi siciliani siamo sempre molto critici quando si raccontano storie di mafia, un dramma che accompagna la nostra vita. All'inizio, spiegando che Riina ha avuto un'infanzia affamata, ci può essere il rischio che il personaggio piaccia, da siciliani sappiamo bene quanto la mafia possa essere subdola e affascinante. Nelle puntate successive emerge la ferocia sua e degli altri"

martedì 27 novembre 2007

INTIMIDAZIONI A LIBERA IN ABRUZZO

TAGLIACOZZO (AQ) Ieri mattina il presidente di Libera dell'Abruzzo, Giuseppe La Pietra, pastore valdese, ha trovato la propria casa sottosopra. Forse l'evento potrebbe essere stato causato da semplici ladri (che non hanno portato via nulla...), ma l'ipotesi più probabile pare essere quella di un gesto intimidatorio contro l'operato di La Pietra e di Libera in Abruzzo. Esso giunge, infatti, dopo un convegno organizzato dall'associazione ad Avezzano, a cui ha partecipato il magistrato anti-mafia Michele Prestipino. La Pietra era già stato vittima di un atto intimidatorio a maggio, quando aveva ricevuto una lettera di minacce subito dopo un'iniziativa che aveva visto la presenza di Don Luigi Ciotti. Nella casa, sono stati trovati strappati i manifesti delle iniziative di Libera.
Il pastore ha ricevuto solidarietà dal mondo politico e da rappresentanti dell'associazionismo (ICNnews).

La presenza della mafia in Abruzzo dà (d'altronde come in altre regioni) segnali preoccupanti. Ad ottobre il senatore di Rifondazione Comunista Giuseppe Di Lello ha presentato una interrogazione relativa alle attività di riciclaggio da parte della criminalità organizzata in Abruzzo ed, in particolare, nell’area della Marsica.

"La Direzione Nazionale Antimafia, nella sua relazione annuale (dicembre 2006) relativa alle dinamiche e strategie delle associazioni mafiose nel Distretto de L’Aquila, ha confermato che il territorio è immune da «radicati insediamenti di matrice mafiosa», sebbene siano in costante aumento «ed assumano connotati di maggiore significatività» le presenze criminali organizzate nel pescarese e nel teramano (principalmente nel settore del gioco d’azzardo, della contraffazione illegale di prodotti commerciali e dello spaccio di sostanze stupefacenti).

«Le conclusioni potrebbero dar luogo ad un quadro relativamente tranquillo», sottolinea Di Lello nella sua interrogazione, «anche perché la regione è lontana da fatti di sangue, plateali azioni intimidatorie o attentati dinamitardi di matrice estorsiva, che caratterizzano le mafie più pericolose».

Ma quali sono gli “indizi” che creano perplessità?«C’è un numero di istituti bancari e società finanziarie assolutamente abnorme rispetto alla densità della popolazione», sostiene l’ex magistrato, «al reddito pro capite, e al volume economico delle imprese attive. La Polizia giudiziaria ha accertato una decina di bancarotte fraudolente e truffe con conseguenti indebiti arricchimenti per almeno 5 milioni di euro». Gli investigatori della Procura distrettuale di Palermo, inoltre, seguendo il così detto “tesoro di Ciancimino” (l’ex sindaco di Palermo noto alle cronache giudiziarie) si sarebbero imbattuti «nella “Alba d’oro s.r.l.” che sta realizzando una mega struttura turistica nel territorio del comune di Tagliacozzo»". ( Primadanoi)

domenica 25 novembre 2007

MAFIA E TELEVISIONE


Qualche giorno fa è stata sospesa la fiction RAI su Graziella Campagna, ragazza di 17 anni uccisa nel 1985 per aver trovato nella lavanderia, nella quale lavorava nella provincia di Messina, l'agendina di un boss mafioso latitante. "La Direzione Generale - si legge in una nota ufficiale della Rai - ha accolto la richiesta del presidente della Corte di Appello di Messina che, attraverso il Ministro di Giustizia, ha segnalato come la messa in onda della fiction sull'assassinio di Graziella Campagna «avrebbe potuto turbare la serenità dei giudici della Corte d'Assise di Appello che dal 13 dicembre si riuniranno in udienza proprio per il processo che riguarda l'assassinio di Graziella Campagna»".
La decisione ha suscitato molteplici polemiche e sono in molti a reputare la decisione della Rai alquanto discutibile. Veltroni, ospite dell'incontro sulla mafia organizzato dalla fondazione Caponetto in corso a Firenze, ha dichiarato di sperare in un ripensamento. Carlo Lucarelli ha commentato :«La sospensione su richiesta del ministro della Giustizia Clemente Mastella, rappresenta un brutto precedente. In base a questo principio non potremmo fare fiction su quasi niente. Paradossalmente, anche la fiction Il capo dei capi dovrebbe essere sospesa. E poi mi chiedo - ha continuato - come può una fiction turbare i giudici di Messina, che sono stati così placidi e tranquilli per tutto questo tempo tanto da far annullare la custodia cautelare dei condannati per decorrenza dei termini entro i quali andava depositata la sentenza».
In effetti, il processo di Graziella Campagna è uno dei tanti in Italia che purtroppo sembra non voler mai iniziare.
"Il processo si conclude nel dicembre 2004 con la condanna all'ergastolo del boss Gerlando Alberti e del complice Giovanni Sutera. Ma il nipote del boss palermitano dopo un anno e mezzo torna in libertà perché i giudici della Corte d'assise non depositano entro i termini stabiliti le motivazioni della sentenza di condanna e quindi viene annullata per decorrenza dei termini la custodia cautelare. Alberti, infatti, rimasto in cella per altri reati, ha lasciato il carcere perché avendo già scontato una condanna per traffico di droga e potendo beneficiare dell'indulto per gli altri reati di cui è stato ritenuto colpevole torna un uomo libero. La vicenda suscita scalpore e il ministro Mastella nel settembre 2006 invia gli ispettori, che dopo alcuni mesi archiviano il caso sul magistrato che era stato accusato di avere ritardato il deposito delle motivazioni della sentenza". (Il Corriere della Sera) .

Sono soprattutto le parole del fratello di Graziella a bruciare di dolore: «Mi chiedo se Mastella si preoccupa di una povera ragazza uccisa innocentemente, o per una famiglia distrutta dal dolore e per un film che ricostruisce ciò che è accaduto in tanti anni di depistaggio e non per la giustizia. Ritengo che il tribunale giudica sulle prove dell'accusa. Se non ha nulla da temere non c'era motivo di fare tutto ciò».

Personalmente ritengo che questa storia sia palesemente assurda.. La Corte d'Assise d'Appello prevede la partecipazione di una giuria popolare... ma è possibile sospendere una fiction per questo motivo? Sono completamente d'accordo con Carlo Lucarelli.

venerdì 23 novembre 2007

Mafia e confisca dei beni

Oggi sulla Repubblica compare la notizia che si può perdere la lotta alla mafia anche per le inefficienze burocratiche. Sono anni che Libera, e non solo, denuncia il fatto che i tempi della burocrazia per la confisca dei beni sono troppo lunghi e molto spesso i beni che erano stati sequestrati alla mafia tornano poi ai loro illegittimi proprietari... Secondo Forgione, il presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, "Non appare adeguato fare rientrare la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle mafie nell'alveo delle competenze generali dell'Agenzia del Demanio". Il procedimento di confisca, destinazione e assegnazione giungerebbe a dare frutti concreti su meno del 10% degli immobili.

martedì 20 novembre 2007

Anche questo in casa nostra


Devio dall'argomento principale del mio blog per parlare di qualcosa che mi è molto a cuore, che non riguarda la mafia in senso stretto nel senso di organizzazione criminale, ma riguarda la mafia come atteggiamento omertoso (a mio modesto modo di vedere, tipicamente italiano) relativamente ad una delle pagine più oscure della storia italiana, che molti vorrebbero strappare e bruciare, cancellandola per sempre dalla memoria. Mi riferisco al G8 di Genova del 2001, durante il quale perse la vita un ragazzo e molti vennero torturati per il solo fatto di essere lì a manifestare le idee in cui credevano. In quei giorni lo Stato di diritto nel nostro paese venne calpestato e i diritti individuali civili e politici fatti a pezzettini.
Non posso che esprimere la mia amarezza per lo svolgimento dei processi riguardo questi fatti e per la mancata costituzione di una commissione d'inchiesta nel nostro Parlamento, quando essa sembrava quasi scontata, dato che era prevista nel programma della coalizione ora al governo.

Ciò che più mi dispiace è che in Italia si crea sempre un silenzio assordante intorno a fatti di cui invece ci dovrebbe essere condanna unanime e assoluta e si arriva a negare anche l'evidenza pur di non assumersi responsabilità alcuna.

sabato 17 novembre 2007

TERRORISMO - MAFIA 1-0

Per mancanza di risorse, l'emendamento della Finanziaria che equiparava le vittime della mafia a quelle del terrorismo non è stato approvato. Per questo, ieri a Palermo mogli, genitori e figli di diverse vittime di mafia hanno protestato davanti la Prefettura, incatenandosi ai cancelli.

Nel 2004 venne approvata una legge che riconosce alle famiglie delle vittime del terrorismo un'indennità di 2500 euro, nonché 1000 euro al mese. Ai familiari delle vittime della mafia, invece, giungono solo 500 euro al mese.

A luglio il governo in maniera formale si era impegnato a trovare le coperture economiche necessarie, per eliminare quella che viene definita da Sonia Alfano, figlia di Beppe, giornalista ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1993, una classifica di serie A e di serie B, da parte dello Stato, di uomini uccisi ingiustamente.

Il presidente della Commissione Antimafia, Francesco Forgione, che aveva proposto l'emendamento, ha dichiarato: "
Trovo che questa vicenda - afferma Forgione - sia veramente incredibile. Sulla necessità di parificare questi diversi trattamenti c'è un'intesa unanime nelle forze politiche di maggioranza ed opposizione. (...) Spero che il Governo si renda conto di stare compiendo una discriminazione che non ha alcuna giustificazione e che non sarà perdonata, né dalle vittime della mafia né dalla parte migliore della società italiana. Auspico che, se si sceglierà la via di un maxiemendamento del Governo al decreto fiscale, si possa porre fine a questa vicenda".

Durante la manifestazione a Palermo è stata lanciata una provocazione: "Ci rivolgiamo direttamente ai vertici di Cosa Nostra perché si pentano e dichiarino pubblicamente le finalità terroristiche della loro organizzazione".

giovedì 15 novembre 2007

Saviano: dalla realtà alla letteratura


"L'Italia sarà quello che sarà il Mezzogiorno"


Concludendo con queste parole di Giuseppe Mazzini, Roberto Saviano, ospite a Bologna nell'ambito dell'incontro Lezioni di valore, ha raccontato la sua esperienza di scrittore, ma, forse, soprattutto, di uomo, ai tanti che erano venuti ad incontrarlo.

Tutti conoscono l'enorme successo di pubblico di Gomorra, ma forse non tutti sanno che per colpa di tale successo, Saviano vive ogni secondo della sua vita sotto scorta, cosa insolita per uno scrittore, come ricorda lui stesso, e in pochissimi possono immaginare come sia difficile andare avanti quando sei isolato da quelle che, nel bene o nel male, erano le persone a te più vicine, ossia i tuoi conterranei.
Molti hanno accusato Saviano di aver infangato Napoli e la Campania tutta nel parlare della camorra, ma è proprio grazie al profondo amore per la propria terra che egli trova la forza di andare avanti e continua a sperare e a combattere perché le cose migliorino e un giorno si possa parlare di una Campania libera dalla camorra, e di un'Italia senza mafie. Da parte dei media nei confronti della criminalità organizzata siciliana, campana, calabrese, pugliese, non c'è semplicemente censura, ma "la censura è stata l'indifferenza" e questo è segno che le mafie contaminano tutto nel nostro paese, economia, politica, società. Ed è per questo che risolvere l'eterna questione meridionale significa fare del bene a tutti, veneti e campani, siciliani e piemontesi, etc. L'attenzione nei propri confronti è ciò che i boss primariamente temono... e non è un caso che Cosimo di Lauro, giovane padrino di Scampia, vietò la lettura di Gomorra.

Tutto ciò mostra il potere della letteratura, la sua capacità di coinvolgere il lettore, che a Saviano non interessa far evadere, ma invadere con la forza delle parole.

PS Una piccola nota per tutti noi bloggers: a chi gli domandava in che stato versi l'informazione in Italia, Saviano ha ricordato l'importanza dei blog, che diffondono e approfondiscono in modo serio informazioni tralasciate dai media.

domenica 11 novembre 2007

Appello: non chiudete Casablanca


Da diffondere:

Milano, 4 Novembre 2007. Ho ricevuto in questi giorni diversi mail e sms di giovani sinceramente disperati perche' Casablanca, un giornale che e' la continuazione ideale dei "Siciliani" di Pippo Fava, un giornale che faticosamente combatte a Catania contro l'indifferenza dei tanti e contro l'impero dei Ciancio, un giornale che combatte in trincea e non come noi dalle retrovie, sta per essere ucciso.
Ve ne riporto solo alcuni.Il primo e' un sms di una amica, appartenete a un gruppo di uomini, donne e ragazzi che non si arrenderanno mai, che ho avuto la fortuna di incontrare sulla rete nella mia incessante ricerca di persone che vogliano combattere al mio fianco la mia ultima battaglia e che, dopo di me, possano continuare a combatterla.
Mi scrive :"Amico, sono abbattuta stasera. Casablanca e' in agonia. Se chiude... Pippo Fava viene ucciso di nuovo. Mi sento impotente, cosa posso fare?Dammi un consiglio perche' ho solo voglia di piangere...".
Voglio molto bene a questa amica dal volto sconosciuto perche' so che lottera' con me sino all'ultimo, e a questo nome e' ispirato il suo gruppo, e perche' spesso fa iniziare la mia giornata con un sms pieno di colori e di speranza, ma ho rimproverato anche lei perche' anche a lei ho gridato che non e' tempo di lacrime, e' tempo solo di lotta, le lacrime dovremo conservarcele, e saranno di gioia non di disperazione, per quando andremo da Paolo a dirgli che a tutti i morti e gli oppressi dalla mafia e dalla illegalita' avremo reso giustizia.
La seconda e' una email di cui riporto solo alcuni passi :"... Graziella mi dice che casablanca è in edicola, e non lo compra neanche chi in teoria dovrebbe fare antimafia, non lo compra nessuno delle associazioni antimafia, non lo comprano i vecchi compagni di partito, non lo comprano nemmeno gli amici e 3000 euro al mese d'affitto e di spese continuano a uscire... aiutatemi a trovare un pubblicitario, perchè se muore casablanca, è come aver lasciato morire Graziella, indebitatasi PER NOI, perchè casablanca non produce utili di alcun genere, ....cercasi qualcuno che vende spazi pubblicitari, con massima urgenza ... chiunque ascolti, risponda all'appello disperato,... ne va della vita dell'antimafia vera, se vogliamo produrre sul serio, serve una mano, per favore, aiutateci ......"
La terza mi parla di Graziella Rapisarda, che insieme a Riccardo Orioles faceva parte della redazione dei "Siciliani" e che ora combatte insieme a lui una disperata battaglia perche' Casbalanca possa continuare a vivere, e dice tra l'altro :"... ha aperto un mutuo sulla sua casa per pagare le spese di affitto, della redazione, le bollette della luce, ma adesso non ce la fa piu' a pagare le rate e la sua casa rischia di essere venduta all'asta. ......"
Ora dobbiamo decidere, se anche noi mescolarci ai tanti che fanno antimafia solo a parole, a quelli che aspettano che ci siano altri, giudici, magistati, poliziotti, giornalisti costretti anche per colpa nostra a diventare degli eroi, o se vogliamo fare anche noi quel poco che ciascuno di noi puo' fare per combattere insieme a loro.
Ci sono tante altre cose che possiamo e che dovremo fare, ci saranno tante battaglie piu' dure e piu' difficili da combattere e questa che adesso vi chiedo e' solo una delle piu' semplici. Corriamo tutti ad aiutare chi sta per cadere, andiamo a fargli scudo con il nostro corpo. Non materialmente, le vere guerre non si combattono piu' cosi', e neanche facendo un obolo, una donazione di cui poi ci dimenticheremmo, perche' allora non avremo davvero fatto quello che potevamo e dovevamo fare. No, quello che possiamo e che dobbiamo fare e' leggere quello che questi combattenti in trincea scrivono e, con grande fatica, riescono a pubblicare, impegniamoci. E' dovere di ciascuno di noi comprare leggere e far leggere agli altri questo giornale, permettere che queste persone perdono possano continuare a lottare anche per noi e insieme a noi..
Io non sono certo ricco, vivo del mio lavoro, continuo a lavorare anche se potrei gia' andare in pensione, e posseggo solo la casa in cui abito, ma siccome so di stare meglio di tanti altri che con il loro stipendio non arrivano alla fine del mese, non staro' certo a pensare a cosa dovro' rinunziare per fare la mia parte. Pensero' invece a cosa dovrei rinunziare se non la facessi, alla mia liberta'.
Io comincero' quindi per primo, perche' e' mio dovere farlo anche per il nome che porto, a versare sul conto che vi indico in fondo 1500 euro per trenta abbonamenti come sostenitore di Casablanca.A ciascuno di voi chiedo di fare un semplice abbonamento per voi stessi, sono solo 30 euro, e di non pensare se per questo dovrete rinunziare ad un cinema o ad una pizza, avrete pero' anche voi acquistato uno spicchio di liberta'. So che ci sono anche alcuni di voi per i quali anche questo sacrificio potrebbe essere troppo, che non riescono nemmeno una volta al mese ad andare a mangiare una pizza o ad andare a cinema, scrivetemelo e vi mandero' una delle copie di Casablanca che mi arriveranno con il mio abbonamento e se non basteranno cerchero' di farne degli altri, ma Casablanca non deve, non puo' morire.
Pippo Fava non puo', non deve, essere ucciso ancora.
Ci sono due modalita' per sostenere «Casablanca», per fare il vostro dovere, la prima e' tramite un bonifico bancario alle coordinate indicate di seguito: Abbonamento ordinario 30,00 Abbonamento Sostenitore 50,00 Bonifico Bancario Graziella Rapisarda Banca Popolare Italiana Catania Cc: 183088 ABI: 5164 CAB: 16903 CIN: M.
La seconda, tramite carta di credito, e' quella attraverso il sito di seguito indicato:
http://www.ritaatria.it/donazione_casablanca.aspx

Ancora un grazie a tutti voi per non avermi lasciato da solo in questa lotta per la giustizia.
Salvatore Borsellino

P.S. Per tutti quelli che ne hanno la possibilità : diffondete questo appello.

sabato 10 novembre 2007

Trasferito vescovo antimafia

Dal sito di Antimafia duemila

Come un fulmine a ciel sereno sulla Locride è giunta la notizia del trasferimento di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, per tredici anni vescovo di Locri-Geraci. Una scelta del Papa. Una sorta di promozione per il sacerdote che in Calabria aveva ridato speranza e voglia di riscatto ad una terra insanguinata dalla criminalità. «Per obbedienza sono venuto e per obbedienza parto. È certamente una promozione che non volevo. Ma non siamo nella logica del potere bensì in quella del servizio». Una decisione difficile da accettare anche per la sua gente. Bregantini è stato una guida. Aveva dimostrato che è possibile non abbassare la testa di fronte alla prepotenza dell’ndrangheta e alle sue spietate leggi di violenza e di morte. Ai mafiosi si era sempre rivolto per cercare di smuovere le loro coscienze. E’ accaduto anche nel suo ultimo discorso, pronunciato in basilica, invitandoli a redimersi. «Mi rivolgo con cuore evangelico ai fratelli deviati dalla mafia perché la misericordia di Dio non si scandalizza del peccato. Anzi Gesù si ferma proprio nella casa di Zaccheo perché non è bloccato dai pregiudizi della gente, né dall'orrore del male compiuto da quest'uomo e va in cerca della pecorella smarrita. Fate ritorno alla pace di Dio, nelle vostre famiglie, con azioni di coraggio e di perdono, rinunciando apertamente alla disonestà in tutte le sue forme». Monsignor Bregantini, il don Puglisi della Calabria, non si fermava alle parole. Ha promosso, soprattutto coinvolgendo i giovani, una rete di cooperative agricole che garantissero un lavoro onesto: una sfida aperta al potere dell’ndrangheta che più volte le ha colpite. Minacce che in questi anni non hanno risparmiato neanche il vescovo «senza scorta», mite e determinato. Commozione e rabbia tra i fedeli per questo trasferimento inaspettato. Troppo forte è la preoccupazione che ciò che è stato finora seminato, senza di lui non possa dare frutto. C’è chi si è incatenato al cancello della cattedrale e chi ha esposto un lenzuolo bianco con scritto «Giù le mani da Bregantini». Ma proteste e raccolte di firme non hanno fermato la decisione.

venerdì 9 novembre 2007

Accordo tra Libera e l'Università


"Nessuno conosce l'Italia se non conosce la mafia"
Fabio Mussi, Ministro dell'Università e della Ricerca, Roma, 30 ottobre 2007

Il 30 ottobre, presso la sede di Libera a Roma, il Ministro dell'Università Fabio Mussi, il sottosegretario Nando Dalla Chiesa, coordinatore del Progetto Ethicamente, e Don Luigi Ciotti, presidente di Libera hanno firmato un Protocollo di intesa, il cui scopo è quello di diffondere a livello universitario la conoscenza del fenomeno mafioso e rendere i giovani protagonisti attivi nella costruzione di un percorso di legalità.
L'iniziativa prevede seminari e attività formative nazionali e di ateneo, per cui non saranno utilizzate risorse economiche, ma solo relazionali, basandosi sulla disponibilità di docenti universitari e studenti. Per l'attuazione del protocollo, valido per due anni, lavorerà un gruppo di lavoro misto del Miur e di Libera.

L'università di Bologna a dicembre 2006 aveva già firmato un accordo di cooperazione culturale con Libera, da cui ha preso le mosse in primavera un bellissimo ciclo di seminari sulla mafia, organizzato presso la facoltà di Giurisprudenza dal docente di Sociologia del diritto Stefania Pellegrini. Spero che in molti altri atenei, con la firma del Protocollo a livello ministeriale, si organizzino seminari di questo tipo, poiché la presa di coscienza dell'entità e della gravità del fenomeno mafioso è il primo passo per contrastarlo efficacemente.

mercoledì 7 novembre 2007

CHE SCOOP.... IL DECALOGO DEL PERFETTO MAFIOSO




Incredibile, ma vero: i mafiosi hanno un codice di comportamento. Non lo sapevamo. Forse Falcone non ha mai scritto Cose di Cosa Nostra... Mah si, Buscetta non ha mai parlato!!!! Da bravi cristiani, i mafiosi hanno ripreso lo stile dei Dieci Comandamenti. Che originalità!

Questo è il "decalogo" del perfetto mafioso rinvenuto nel covo di Lo Piccolo...

1 - «Non ci si può presentare da soli a un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo»

2 - «Non si guardano mogli di amici nostri»

3 - «Non si fanno comparati con gli sbirri»

4 - «Non si frequentano né taverne né circoli»

5 - «Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a Cosa nostra. Anche se c'è la moglie che sta per partorire»

6 - «Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti»

7 - «Si ci deve portare rispetto alla moglie»

8 - «Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità»

9 - «Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie»

10 - «Niente affiliazione per chi ha un parente stretto nelle varie forze dell'ordine, oppure chi ha tradimenti sentimentali in famiglia, o chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali»


Non è il film de Il Padrino, è la realtà. Ma a me fa ridere. E poi i valori morali di cui al punto 10....che miseria!!!!!!!!!

Insieme ai fogli del "decalogo", gli investigatori hanno ritrovato un'immaginetta sacra con la formula rituale di affiliazione: "Giuro di essere fedele a Cosa Nostra. Se dovessi tradire le mie carni devono bruciare come brucia questa immagine".

A parte ciò, è stata rinvenuta anche qualcosa che sembra ben più importante, ossia una c.d. mappa del potere.
Dal Corriere della Sera:
"Nella borsa in pelle dove il padrino conservava una corposa documentazione, gli investigatori hanno trovato anche una «mappa» aggiornata di tutti i mandamenti mafiosi, che contiene alcune sorprese. Ad esempio lo «storico» mandamento di San Lorenzo, un tempo guidato da Don Saro Riccobono, di cui Totuccio Lo Piccolo era guardaspalle, adesso ha assunto la denominazione legata alla borgata di Tommaso Natale, il rione a due passi dal quartiere Zen regno incontrastato dalla famiglia Lo Piccolo. Gli inquirenti sono concordi nell'affermare che tutte queste carte contengono informazioni preziosissime e che il materiale sequestrato consentirà «importanti sviluppi nelle indagini in corso e per i prossimi anni»".

PS Questa volta, per fortuna, il covo è stato perquisito subito! (ogni riferimento a Totò Riina è puramente casuale...).... ah, e perdonate il mio disfattismo!!!

lunedì 5 novembre 2007

Mafia, arrestato Salvatore Lo Piccolo

Da La Repubblica

PALERMO - Arrestati i boss latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Padre e figlio sono finiti in manette in una villetta a Giardinello, tra Cinisi e Terrasini, nel palermitano. Salvatore Lo Piccolo, latitante dal 1983, era ritenuto al vertice di Cosa Nostra palermitana. Dopo l'arresto di Bernardo Provenzano, infatti, avrebbe assunto il controllo dell'organizzazione criminale contendendo la leadership a Matteo Messina Denaro, boss latitante del trapanese.

Con loro sono stati arrestati anche i latitanti Gaspare Pulizzi e Andrea Adamo. Il primo è reggente di Brancaccio il secondo di Carini. Tutti inseriti fra i 30 maggiori ricercati d'Italia. I quattro erano impegnati in una riunione fra boss. Le manette sono scattate anche per altri due favoreggiatori. La notizia è arrivata mentre a Palermo si celebra la 'Giornata della memoria' in ricordo di tutte le vittime della mafia, voluta dall'ex cardinale e arcivescovo Salvatore Pappalardo.

I Lo Piccolo sono stati arrestati in due villette, due abitazioni in cemento totalmente ammobiliate. Al contrario di Bernardo Provenzano, che viveva in un casolare immerso nelle campagne, i due boss erano in appartamenti veri e propri, anche se periferici, vicino al mare.

Il blitz ha impegnato circa quaranta agenti della sezione Catturandi della squadra mobile. I poliziotti hanno fatto irruzione nella villetta dopo aver circondato la casa in cui si trovavano i quattro latitanti, che erano riuniti nel garage. Erano tutti armati. Gli agenti hanno pure sparato alcuni colpi di arma da fuoco. Nel covo sono stati trovati documenti, denaro e armi.

Il volto di Salvatore Lo Piccolo è differente da quello ricostruito dall'identikit che era stato effettuato durante le indagini su indicazione di alcuni collaboratori di giustizia. Il capomafia ha la barba incolta, veste casual, e indossa un giubbotto di pelle. Il figlio del boss, Sandro Lo Piccolo, ricercato da dieci anni, somiglia molto all'ultima foto di cui erano in possesso gli investigatori. Ha i capelli corti e il volto rasato.

Le indagini che hanno portato all'operazione che ha consentito l'arresto dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, di Andrea Adamo e Gaspare Pulizzi, è stata condotta dai pm Nico Gozzo, Gaetano Paci e Francesco Del Bene. L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo. (...)

"Siamo tutti soddisfatti per l'arresto di Salvatore e Sandro Lo Piccolo", ha detto il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo. "Dall'arresto dei due - ha detto il capo del pool antimafia - ci attendiamo la disarticolazione dell'apparato criminale sul territorio. I due grandi latitanti erano punto di riferimento dei capimafia che esercitavano il controllo sull'apparato economico. Adesso ci attendiamo una conseguenza positiva anche sul piano della possibilità della collaborazione dei cittadini".

"E' un risultato straordinario che dimostra che questo non è un ufficio allo sbando e che il pool antimafia è pienamente operante - ha detto il pm palermitano Gaetano Paci -. Ovviamente - ha aggiunto - alla polizia di Stato va il merito di avere portato a compimento una brillante operazione".


domenica 28 ottobre 2007

ANDREOTTI CONDANNATO: PER UNA VOLTA NON PRESCRITTO

Il nostro "amatissimo" senatore a vita Giulio Andreotti è stato condannato per diffamazione nei confronti del giudice Mario Almerighi, ex pretore di assalto a Genova negli anni Settanta. Andreotti, quando nel 1999 venne assolto in primo grado per insufficienza di prove, si scagliò contro Almerighi, accusandolo di aver reso una deposizione falsa, in relazione alle confidenze del senatore Casadei Monti sulle pressioni che Andreotti aveva esercitato sul Ministro della Giustizia Rognoni per bloccare un procedimento disciplinare nei confronti del c.d. Ammazzasentenze, Corrado Carnevale.

Il "prescritto a vita", come definisce Travaglio il senatore a vita, paragonò Almerighi ai falsi pentiti, sostenendo che affidare la giustizia a gente come lui «è come lasciare la miccia nelle mani di un bambino». "Almerighi querelò. Andreotti tentò di salvarsi con la solita insindacabilità-impunità parlamentare e nel gennaio del 2001 il Senato gli regalò con voto bipartisan lo scudo spaziale. Ma la Corte costituzionale glielo tolse («Non spetta al Senato affermare che le opinioni espresse dal senatore Andreotti costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni»). Così il processo ripartì e finalmente, il 15 giugno scorso, il prescritto a vita è stato condannato dal Tribunale di Perugia a 2mila euro di multa (interamente condonata dall’in-
dulto-vergogna, che copre anche le pene pecuniarie), oltre a 20mila euro di provvisionale a titolo di acconto del risarcimento del danno da fissare in separata sede civile". (Antimafia duemila).

Nella motivazione della sentenza si legge che Andreotti è colpevole in quanto «era ben consapevole che le sue parole gravemente diffamatorie, inutilmente volte a gettare fango su Almerighi, erano destinate alla divulgazione e alla pubblicazione». "Quanto ad Almerighi, «può ritenersi provata la circostanza che quel tipo di confidenza (sui traffici di Andre-
otti pro Carnevale, ndr) gli era stata fatta per davvero» da Casadei Monti: lo provano le «concordi deposizioni» di almeno tre magistrati e l’atteggia-
mento dello stesso Almerighi il quale, «spinto da un’ansia di verità, che muoveva dallo sdegno per i tanti morti tra le file dei suoi amici» (da Ciaccio Montalto a Falcone e Borsellino), giunse «a divaricare la sua posizione da quella dell’amico confidente Casadei Monti, a costo di esporre lui o se stesso al rischio di non esser creduto». Almerighi dunque ha detto la verità; Andreotti invece «plurime esternazioni menzognere» e insulti «lanciati come strali dinanzi ai quale si resta impietriti»".

sabato 27 ottobre 2007

Parole che non dovrebbero essere dimenticate


"Oggi la nuova Resistenza consiste nel difendere le posizioni che abbiamo conquistato, nel difendere la Repubblica e la democrazia. Oggi ci vogliono due qualità: l'onestà e il coraggio. Quindi l'appello che faccio ai giovani è questo: cercate di essere onesti prima di tutto. La politica dev'essere fatta con le mani pulite! Se c'è qualche scandalo, se c'è qualcuno che dà scandalo, se c'è qualche uomo politico che approfitta dei suoi sporchi interessi, deve essere denunciato".

Queste parole furono pronunciate da Sandro Pertini, presidente della Repubblica italiana dal 1978 al 1985.

Pertini è ricordato come il Presidente della Repubblica più amato dagli Italiani... Purtroppo spesse volte in Italia si ricordano solo i nomi di queste persone, ma non le parole e la loro tensione morale...

Non gettiamo dalla finestra la nostra memoria storica!!!

venerdì 26 ottobre 2007

Lavori pubblici, Confesercenti: «Le grandi imprese vengono a patti con la mafia»

Dal Sole 24 ore
"Cresce il condizionamento esercitato dalla criminalità mafiosa sulle imprese italiane. Accanto a un'attività parassitaria di tipo tradizionale, costituita dai reati di estorsione e usura, aumenta la cosiddetta mafia imprenditrice, ormai presente in ogni comparto economico e finanziario del Belpaese. Si parla dei condizionamenti della mafia nel mercato, dei costi derivanti dalla criminalità di strada, delle attività illegali, a cominciare dall'abusivismo, passando per il contrabbando e il cybercrime. I commercianti e gli imprenditori subiscono 1.300 reati al giorno, praticamente 50 l'ora, e nelle casse delle organizzazioni criminali confluiscono proventi pari più di 90 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del Pil nazionale. Affari fiorenti per la criminalità mafiosa anche dal racket, che colpisce 160mila commercianti e che comporta un introito indebito di circa 10 miliardi di euro. In Puglia, Campania, Calabria e Sicilia sono concentrati ben 132mila commercianti che pagano il pizzo. Sono questi, in sintesi, i principali dati contenuti nel rapporto di Sos Impresa «Le mani della criminalità sulle imprese», presentato, a Roma, dal presidente di Confesercenti Marco Venturi che descrive modalità e sistemi di condizionamento nel tessuto economico del Belpaese messi in atto dai sodalizi criminali. (...)
Dal rapporto, giunto alla decima edizione, emerge il crescente consolidarsi delle mire imprenditoriali delle mafie in un po' tutti i settori economici e finanziari del Belpaese: dalla filiera agroalimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, senza dimenticare, poi, gli appalti, le forniture pubbliche, oltre che il settore immobiliare e finanziario. Tra la tipologia di reati commessi a danno delle imprese, svetta l'usura, che produce da sola un giro d'affari di 30 miliardi di euro, che per i 150 mila commercianti colpiti ha un costo stimato in 12 miliardi di euro. E tra i nuovi attori del crimine, in evidenza la promozione a capo di molte donne, mentre preoccupa il forte abbassamento di età degli estorsori, che vede sempre più spesso il coinvolgimento di minorenni in numerosi atti criminali. (...)"

Per il rapporto completo cliccate qui.

Per vedere la mappa del pizzo, cliccate qui.

lunedì 22 ottobre 2007

Mafia e lavoro in nero

"E' assurdo che si debba morire sul lavoro. E aggiungo io, per salari bassi, talvolta indecenti. Non limitiamoci alla denuncia, dobbiamo sentire il dovere istituzionale di reagire, di indignarsi, di gettare l'allarme, di sollecitare risposte. Dobbiamo volere condizioni di lavoro più umane, più civili, più rispettose dei bisogni e della dignità di tutti. Dobbiamo volere un'Italia migliore".

Giorgio Napolitano, 1 maggio 2007

Si parla sempre (chiaramente senza fare nulla) di lavoro precario, spesso dimenticando un'altra grande piaga di questo paese: il lavoro in nero. La mafia (come potrebbe essere altrimenti?) si mantiene e si sostiene anche attraverso lo sfruttamento di moltissimi lavoratori.
A inizio settembre la Federazione Lavoratori Agro Industria della Sicilia ha denunciato:
"In Sicilia anche quest’anno si sta vendemmiando facendo largo ricorso al lavoro nero, mentre il 70% di chi dovrebbe controllare e’ in ferie" . La qualità certificata dell'uva raccolta in Sicilia non sarebbe, dunque, accompagnata dalla legalità, ma da evasione fiscale e bassi salari. Delle 35 mila persone occupate nell'isola nel settore viticolo, solo 2 mila avrebbero un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Già a gennaio il segretario della FLAI Lo Balbo aveva affermato che nelle campagne siciliane esisterebbero 20 mila nuovi schiavi.
In Italia, purtroppo, si fa ancora troppo poco per combattere questa piaga. Operai che lavorano nei cantieri senza alcuna sicurezza, ragazzi sfruttati per troppe ore nei posti di lavoro sono sotto gli occhi di tutti. Eppure, cosa si fa per cambiare le cose?
Quando c'è un morto di lavoro, il tg rapidamente ce ne dà notizia, ma raramente affronta approfonditamente il problema.
La Cassazione di recente ha affermato che il lavoro in nero costituisce estorsione e ha confermato a carico di tre
datori di lavoro sardi di Nuoro il verdetto con il quale la Corte di Appello di Cagliari li aveva giudicati colpevoli di estorsione infliggendo tre anni e mezzo di carcere ciascuno.
Un verdetto positivo, che deve spingerci ad avere fiducia e a combattere per cambiare la situazione raccapricciante del nostro paese che vuole dirsi democratico.

Ecco perché sabato ho partecipato alla manifestazione a Roma, perché bisogna sempre ricordare a chi ci governa che il lavoro nobilita l'uomo, è fonte della sua libertà e della sua autonomia.

domenica 21 ottobre 2007

Un'altra vergogna in questo paese

Alla fine è accaduto quello che in molti temevamo: è stata avocata l'inchiesta "Why not" a Luigi De Magistris. Ma non dal CSM, ma dalla Procura generale di Catanzaro. Motivazione: incompatibilità relativa all'iscrizione di Clemente Mastella nel registro degli indagati.

Riporto l'intervista fatta a De Magistris dal Corriere della Sera.

Allora, dottor de Magistris, c'è una strategia in ciò che sta accadendo?
«È evidente. C'è una strategia in atto. Una strategia ben nota all'Italia. Si chiama strategia della tensione».

Come fa a dirlo?
«Le intimidazioni istituzionali, le pallottole, la richiesta di trasferimento da parte del ministro, e da ultimo l'avocazione di un'altra mia indagine e la fuga di notizie sull'iscrizione del ministro tra gli indagati, tutto questo è opera di una manina particolarmente raffinata».

Quale manina?
«Poteri occulti. Massoneria, soprattutto. Coadiuvati da pezzi della magistratura, non solo calabrese, che in questa vicenda hanno svolto un ruolo fondamentale L'ultimo gol, secondo questo ragionamento, lo hanno fatto segnare al procuratore generale Favi? «Beh, è un dato di fatto che il dottor Favi, soprattutto negli ultimi mesi, sembra che abbia svolto soltanto un ruolo: una intensa attività epistolare in cui si è occupato di me, come magistrato e come persona fisica. Voleva togliermi anche l'inchiesta Toghe lucane. Finora non c'è riuscito, ma non è detto che non abbia già pensato di concludere il lavoro ».

Per quali ragioni lei teme che si voglia spingere il Paese in un clima da anni di piombo?
«Perché con questa avocazione, me lo lasci dire, torniamo alla magistratura fascista, forte con i deboli e debole con i forti. Davanti alla legge, i potenti non sono uguali come tutti gli altri. Questo è il messaggio. E il pericolo è che si apra la strada a un periodo buio: ognuno stia al suo posto e non si immischi, perché rischia ».

Lei rischia?
«Certo. E non solo io. Anche tutti gli altri che si sono occupati di queste vicende. E tutti i cittadini».
Cosa si rischia?
«Dopo un'avocazione di un'inchiesta del genere, distrutto lo Stato di diritto, rischi le pallottole e il tritolo».

Come le pallottole inviate a lei e al gip di Milano, Clementina Forleo, firmate Brigate rosse?
«Ma quali Brigate rosse! Per fortuna, oggi siamo in un momento storico diverso, non c'è il terreno di coltura dell'ideologismo fanatico degli anni '70 e c'è una grande attenzione al tema dei diritti. No, non c'è il rischio di iniziative violente da parte di improbabili sigle terroristiche vecchie e nuove. Quei proiettili inviati a me e alla collega Forleo provengono da settori deviati di apparati dello Stato, che già in passato hanno messo in pericolo le istituzioni e oggi cercano di riprodurre quel clima».

Dica la verità, lei ritiene che sia in atto un golpe giudiziario?
«La parola golpe la usa lei. Certo è che è accaduta una cosa senza precedenti, della quale non so ancora ufficialmente nulla, poiché nulla mi è stato notificato. L'ho appreso dall'Ansa. No, non mi pare ci siano più le condizioni per fare il magistrato, specie in Calabria, avendo come punto di riferimento l'articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza di tutti i cittadini, ndr) ».

Da quand'è che si trova sotto tiro?
«Da quando ho cominciato a indagare sui finanziamenti pubblici europei. Da allora, è scattata la strategia delle manine massoniche. Questo di oggi è solo l'ultimo atto. Staremo a vedere quali saranno i prossimi, visto che ormai sono considerato un elemento "socialmente pericoloso"».

La accusano di aver iscritto Mastella nel registro degli indagati per ritorsione, per la storia del trasferimento.
«Falso. Le indagini, come tutti sanno, avevano un loro corso, che non poteva essere intralciato da attività esterne. Nemmeno da una richiesta di trasferimento, che appunto è da considerarsi un'attività esterna. La domanda da fare è un'altra».

La faccia.
«Mi chiedo: chi e perché ha fatto venir fuori la notizia dell'iscrizione di Mastella? E come mai è stata fatta pubblicare una cosa non vera, e cioè che Mastella fosse indagato anche per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete? ».

E che cosa si risponde?
«Che è opera della stessa manina raffinata. Suggerisce qualcosa il fatto che prima ancora che le agenzie lanciassero la notizia, Mastella abbia dichiarato che con le associazioni massoniche lui non ha nulla a che fare?».

In questo scenario, le misure di sicurezza per lei sono state rafforzate?
«Non ne so nulla. So che continuo a mettere di tasca mia la benzina a un'auto blindata che è un baraccone, tanto che non può spostarsi nemmeno fuori Catanzaro».

E la riunione di giovedì scorso del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica? «Come no. Mi hanno detto che vi ha preso parte anche il procuratore aggiunto Salvatore Murone (sul quale indaga la procura di Salerno, per fatti relativi a inchieste del pm de Magistris, ndr). La cosa un po' mi inquieta, poiché ritengo che proprio Murone sia uno dei principali responsabili del mio isolamento istituzionale, oltre che uno degli autori dell'attività di contrasto nei miei confronti all'interno dell'ufficio giudiziario».

Allora è vero che quella di Catanzaro è un'altra «procura dei veleni»?
«No. Non è così. Con la gran parte dei colleghi io ho un rapporto ottimo. Ma quando arrivo in Procura mi guardo lo stesso alle spalle. C'è nei miei confronti, e le vicende degli ultimi tre anni lo dimostrano, una precisa attività di contrasto, messa in atto verso ben precise indagini e svolta da parte di ben individuati soggetti».

Cosa pensa della telefonata dell'altro giorno tra i suoi indagati Prodi e Mastella che il premier ha definito «cordiale»?
«Non parlo delle indagini in corso, lo sa». Dopo questa intervista, non l'accuseranno di aver avuto un «disinvolto rapporto » con la stampa? «Questo è davvero paradossale. Sono io che ho subito i danni creati dalle fughe di notizie. E poi, adesso basta. Il momento è troppo grave. E quindi ritengo di potermi svincolare dal dovere di riservatezza che mi ero imposto, mentre tutti gli altri facevano con me il tiro al bersaglio ».

Pensa che debbano intervenire capo dello Stato e Csm?
«Sì. Lo spero. Non so perché il presidente Napolitano non sia ancora intervenuto. Confido che lo faccia il Csm, a tutela dell'autonomia e indipendenza di tutti i magistrati. Anche di quelli che lavorano in Calabria».

giovedì 18 ottobre 2007

La lezione di Caselli


Ieri ho avuto l’onore di ascoltare a Bologna, nella facoltà di Giurisprudenza, una lezione su diritto e terrorismo tenuta da Giancarlo Caselli.

Il giudice ha spiegato quelli che dovrebbero essere i metodi di contrasto a qualsiasi organizzazione criminale e, in particolare, ha sottolineato l’importanza della collaborazione di tutti i soggetti agenti nelle istituzioni e nella società per sconfiggere realtà concrete come mafia e terrorismo. Lungo tutto l’arco dell’intervento è emerso che, quando lo Stato si mostra deciso e rispettoso delle regole e degli strumenti democratici, è possibile scardinare la strategia di paura su cui fanno leva le organizzazioni terroristiche e mafiose. Il coinvolgimento dell’opinione pubblica, un’opera legislativa attenta, l’azione capillare delle forze dell’ordine, nonché una coraggiosa attività giurisdizionale possono consentire, unitamente alla consapevolezza del radicamento e dell’effettività delle organizzazioni eversive, di vincere la dura lotta che lo Stato unito ha intrapreso. “Bisogna percorrere strade compatibili con i diritti democratici”, ha affermato solennemente Caselli, in riferimento alla realtà odierna, dove si vuol far passare come legittima la tortura di presunti colpevoli o sospetti di terrorismo internazionale in nome di una sicurezza vaga e indefinita.

Caselli non leggerà mai il mio blog, ma voglio da qui ringraziarlo per lo splendido insegnamento che ci ha dato con la sua attività di magistrato e per la bellissima lezione di ieri.

Concludo con le parole che Indro Montanelli scrisse sul Corriere della Sera nel 1998 in difesa del giudice:

Signor Procuratore, le auguro che la limpidezza della sua azione trionfi e valga a disperdere o almeno ad alleggerire la cappa di fango che si cerca di gettare sulla Giustizia. Lo auguro a lei. Ma lo auguro anche, come cittadino, a me stesso”.

lunedì 15 ottobre 2007

CHIESTI OTTO ANNI PER CUFFARO

"Otto anni di reclusione: questa la richiesta avanzata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, al termine della requisitoria nel processo alle cosiddette "talpe della Dda", nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, imputato di favoreggiamento a Cosa nostra e rivelazione di notizie riservate". Questo si apprende oggi dal sito della Repubblica. I pm avevano ridimensionato l'accusa già durante la fase della requisitoria, ufficializzando le motivazioni che li avevano indotti a contestare al politico solo il reato di favoreggiamento e non quello di concorso esterno all'associazione mafiosa. Mancherebbero, infatti, le prove dell'accordo tra il boss Guttadauro e il Cuffaro di candidare alle regionali del 2001 Mimmo Miceli.

Il procuratore Pignatone ha dichiarato: "Questo è stato definito il processo alle 'talpe', ma questa definizione è riduttiva. Questo processo ha svelato alcuni aspetti strategici e vitali per Cosa nostra, facendo emergere il coacervo di interessi illeciti che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, compresi rappresentanti politici. Mai, come in questo processo è stato ricostruito, in un'aula giudiziaria, il fenomeno delle fughe di notizie, rivelando un panorama desolante di sistematico tradimento anche da parte di esponenti degli apparati investigativi".

Da parte loro i legali di Cuffaro hanno depositato, nella terza sezione del Tribunale di Palermo, l'istanza in cui chiedono la "remissione" del processo in altra sede giudiziaria per "la grave situazione ambientale". A decidere sarà la Cassazione.

sabato 13 ottobre 2007

FORSE SARANNO DISTRUTTE LE INTERCETTAZIONI TRA BERLUSCONI E CUFFARO


Dal sito di Antimafia duemila

PALERMO. Sarà il capo della procura di Palermo Francesco Messineo a rappresentare l’accusa nell’udienza in cui il gup Fabio Licata dovrà decidere se distruggere o meno le bobine relative alle conversazioni telefoniche intercettate tra l’ex premier Silvio Berlusconi e il Presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro.
Era stato infatti il procuratore capo appena insediato nell’ufficio palermitano a firmare per la revoca della distruzione di quelle bobine. Lo aveva fatto il 20 giugno scorso argomentando che seppure le intercettazioni non avrebbero avuto un rilievo probatorio nei confronti dell’on. Cuffaro, o sotto processo per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e attualmente indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, le telefonate avrebbero potuto autonomamente rappresentare una fonte di prova imputabile ad altri soggetti politici e pubblici ufficiali. Uno fra tutti Silvio Berlusconi a cui potrebbe essere contestata la fuga di notizie relativa a informazioni vincolate dal segreto istruttorio. Le conversazioni in questione sono quelle registrate a cavallo tra il 2003 e il 2004, relative all’inchiesta sulle “talpe” che aveva appena portato all’arresto del maresciallo del Ros Giorgio Riolo, il maresciallo della Dia Giuseppe Ciuro e il manager della sanità Michele Aiello. Tutti personaggi legati a doppio filo con Totò Cuffaro il quale evidentemente temeva di fare la stessa fine. Il blitz infatti era scattato il 5 novembre 2003 e la prima intercettazione con il Cavaliere risale a qualche giorno dopo.
In quelle telefonate ma soprattutto in una che nemmeno era stata trascritta perché ritenuta irrilevante, il Cavaliere di Arcore avrebbe rassicurato Cuffaro di aver saputo che nei suoi confronti ci sarebbe stato un orientamento favorevole all’interno di “alcuni” uffici. Berlusconi avrebbe anche riferito al leader dell’Udc siciliana di aver appreso dall’ex ministro dell’interno Beppe Pisanu che la situazione sarebbe stata tutta sotto controllo. Queste ed altre erano state le conversazioni destinate ad essere neutralizzate secondo una disposizione del gip che affidò l’incarico di distruzione alla Procura. Il decreto però era stato sospeso a causa di un durissimo scontro all’interno della Dda di Palermo fra pm favorevoli e contrari all’eliminazione di quelle prove. Un empasse sbloccato il 20 giugno scorso da Messineo firmatario della richiesta che potrebbe salvare quelle intercettazioni.
All’udienza di venerdì prossimo, nel quale il gup si riserva di ascoltare le parti, hanno già annunciato la loro presenza gli avvocati dell’ex premier: Nicolò Ghedini e Ugo Minacci.

giovedì 11 ottobre 2007

Dalla mafia alla mafia, passando per i reality show e Piero Grasso

Notizia incredibile: dopo anni passati ad occuparsi di reality show, Maurizio Costanzo torna stasera ad occuparsi di mafia. Ospiti nello studio dello show che porta il suo nome saranno Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, Tano Grasso,presidente della Federazione Antiracket, Rosario Crocetta, sindaco di Gela, Francesco La Licata, giornalista e biografo di Falcone, e Giorgio Scimeca, giovane imprenditore che ha denunciato il suo estorsore. Credo sia una trasmissione da vedere, per noi più giovani soprattutto che solo attraverso vecchi video, possiamo ricordare Falcone e Borsellino quando andavano al Maurizio Costanzo show e le memorabili maratone con Samarcanda sulla Rai, condotto da Michele Santoro.

INTERROGHIAMOCI SU PIERO GRASSO
Forse attualmente, per via della cattura di Bernardo Provenzano nell'aprile del 2006, Grasso è acclamato come un eroe. Ma ci ricordiamo come è stato eletto?
Nel 2005 la sua elezione, salutata con giudizi positivi e di stima da parte del centro-destra, non è stata immune da polemiche, in relazione all'estromissione dell'altro candidato, Giancarlo Caselli. Un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario (la c.d. riforma Castelli), noto come "emendamento Bobbio" dal nome del senatore di Alleanza Nazionale Luigi Bobbio, fra l'altro, prevedeva che per aspirare a tutti gli uffici direttivi, esclusi quelli di Cassazione, occorre garantire quattro anni pieni di servizio prima del compimento del settantesimo anno di età: al momento della nomina il candidato non avrebbe dovuto avere più di 66 anni, cioè proprio l'età di Giancarlo Caselli. "La maggioranza di governo non nasconde la finalità contra personam dell'iniziativa, e l’autore dell’emendamento, il senatore Bobbio afferma: "Caselli è indegno di ricoprire quell’incarico. Nel giugno 2007 la Corte Costituzionale dichiara illegittima la norma". (wikipedia). Nel 2005 (quindi PRIMA della cattura di Provenzano) Saverio Lodato e Marco Travaglio spiegano il consenso intorno a Grasso in questo modo:
"I suonatori di quella orchestrina garantista (...) che da anni attaccano magistrati e pentiti, guarda caso, sono gli stessi che applaudono alla serietà del procuratore Grasso. E non lo criticano mai, nemmeno quando mette sotto inchiesta Totò Cuffaro, il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro. Perché? Perché in più di un'occasione ha dimostrato di non volere intentare procedimenti contro uomini politici in assenza di certezze di condanna. Lo ha detto. Lo ha teorizzato".

COSA NE PENSATE?

martedì 9 ottobre 2007

La Marcia della Pace


In quel paese in cui mafia, Chiesa e miseria culturale regnano sovrani, domenica 7 ottobre si marciava per la pace.
Eravamo in duecentomila a percorrere la strada che congiunge Perugia ad Assisi, duecentomila a chiedere la pace in Birmania, in Iraq, in Afghanistan e in tutti i luoghi del mondo che la Storia ufficiale ha dimenticato. C'erano gli scout, le acli, i giovani comunisti, i verdi, qualche bandiera della Sinistra Democratica, qualcuna della Sinistra giovanile, c'erano Libera con Don Ciotti, volontari delle più diverse associazioni, ma soprattutto tanti uomini e tante donne, senza una bandiera, senza un simbolo, senza uno stemma, ma con i colori della pace impressi nel cuore. Ognuno si è incamminato verso Assisi portando con sé la propria esperienza di vita, cercando e offrendo allo stesso tempo sostegno e solidarietà. Noi duecentomila che eravamo lì, a Perugia, abbiamo percorso più di venti chilometri, ed è stato facile, in fin dei conti, vedendo gli altri che andavano avanti con noi, senza fermarsi se non per breve soste. Forse nessuno vorrà ascoltare questa domanda di pace, ma è importante che tutti noi, nel nostro piccolo agire quotidiano, non smettiamo di credere che un altro mondo è possibile. Domenica ho avuto la sensazione che tutti insieme possiamo costruirlo passo per passo, e comunque mi sono convinta che bisogna provarci... perché il bisogno di essere utile agli altri è una delle rarissime cose che dà un senso alla vita.

sabato 6 ottobre 2007

Mastella: ci sei o ci fai?

Come molti in questi giorni, anch'io mi ritrovo a scrivere su Mastella. La domanda che mi pongo è questa: Mastella ci è o ci fa?

Personalmente, non mi stancherò mai di ripetere che i giudici non possono essere isolati, come il Guardiasigilli sta tentando di fare con De Magistris. Ciò a suo tempo accadde per Falcone e Borsellino, che oggi assurgono al rango di figure quasi mitiche e leggendarie, che, tuttavia, prima di morire erano continuamente bersagliate. Un esempio per tutti: Borsellino fu accusato di essere una "toga rossa", quando invece si dichiarava monarchico...
Per quanto riguarda la trasmissione "Anno Zero", sono felice che Santoro si sia occupato della questione del possibile trasferimento di De Magistris, ma spero ancor più vivamente che di essa continuerà ad occuparsi anche quando i riflettori sul Ministro e sul magistrato si saranno spenti, e l'opinione pubblica si starà occupando di qualcos'altro. Ora è facile parlare del problema della legalità in Calabria, di cui, invece, ci si dovrebbe occupare SEMPRE.
Ma torniamo alla domanda di partenza: Mastella ci è o ci fa? Crede davvero in quel che dice o i suoi scopi sono altri?
Poiché non credo che Mastella sia ministro per dono della provvidenza, ma perché ha saputo fare i beni i suoi calcoli, io credo che non crede a quel che dice e i suoi scopi sono ben altri.
Creare un caso di livello mediatico relativamente all'accanimento nei suoi confronti è un pregio di pochi. Berlusconi docet. In questo modo l'attuale Guardiasigilli distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica da quella che è, invece, la questione fondamentale: in Calabria c'è un'indagine in corso che coinvolge sia la sua persona sia il Presidente del Consiglio. La trasmissione di Santoro era proprio ciò che serviva a Mastella: gli ha permesso di creare un gran clamore su tutti i media relativamente alla sua persecuzione. Quindi il Ministro non può far altro, a mio avviso, che inviare un ringraziamento al giornalista...ora ha un altro motivo per ricattare il governo.
Non so se Mastella, penalmente, ha la coscienza a posto, ma, politicamente, certamente no, perché se l'avesse e ritenesse di aver subito un torto in Anno Zero, potrebbe benissimo denunciare per diffamazione Santoro. Ma da bravo politico italiano accorcia i tempi e abusa della sua posizione, rilasciando continue dichiarazioni. I governanti dovrebbero dare risposte al Parlamento, non al pubblico televisivo.
E in tutto questo, Berlusconi se la gode: "Meglio tardi che mai", ha risposto a chi da sinistra si lamenta della presenza dei giudici in tv....

Che bello. Finalmente destra e sinistra hanno trovato un accordo... in coro si alzano voci contro i giudici...peccato che l'avversione nei confronti del potere giudiziario (si noti bene: POTERE giudiziario, perché ricordo che la magistratura costituisce un potere, come il governo costituisce il potere esecutivo e il Parlamento il potere legislativo) era la prima accusa che la sinistra muoveva a Berlusconi.

venerdì 5 ottobre 2007

Grazie Mastella

[Pubblico una lettera di Salvatore Borsellino, ricevuta e pubblicata nel suo blog da Antonio Pagliaro. Chiunque vuole, può pubblicarla]


Voglio ringraziare il ministro Mastella per la sua iniziativa di richiesta di allontanamento per incompatibilità ambientale del giudice De Magistris dalla procura di Catanzaro.

Voglio ringraziarlo pubblicamente perché mi ero ormai convinto che a seguito delle campagne di delegittimazione e di aggressioni di ogni tipo nei confronti della magistratura la gente si fosse ormai assuefatta all’arroganza ed all’impunità dei politici e avesse accettato come normale e ineluttabile questo stato di cose.

Ora invece la reazione provocata da questa iniziativa nell’opinione pubblica, nella gente comune, reazione che sta provocando in tutta Italia raccolte di firme e mobilitazioni spontanee, soprattutto di giovani, a sostegno del magistrato, perché possa continuare il suo lavoro senza intimidazioni e interferenze esterne, mi ha fatto rinascere la speranza che le cose possano ancora cambiare.

Ho sottoscritto insieme a Sonia Alfano una lettera al capo dello stato dove chiediamo che tuteli, come è suo compito, l’indipendenza della magistratura raccomandando al CSM, di cui è il presidente, di rigettare la richiesta del ministro. E chiedergli invece di occuparsi di altri, e ben più gravi problemi della Giustizia, come il caso della Procura di Caltanissetta, dove sono concentrate le indagini sui fatti più gravi della nostra storia recente, quali l’indagine sui mandanti esterni nella strage di via D’amelio e l’indagine sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo, che viene, dal 12 Luglio 2006, lasciata senza una guida e affidata a un reggente.

Voglio però sperare che il sig. Ministro prenda spontaneamente atto della situazione di incompatibilità ambientale che si è creata tra la sua persona e la maggioranza degli italiani e voglia attuare il suo proposito di dimettersi, proposito più volte minacciato, ma finora solo a scopo di ricatto nei confronti della maggioranza di governo.

Il sig. Mastella ama spesso ripetere di essere una persona onesta, non deve quindi temere che le indagini in corso da parte del giudice De Magistris possano coinvolgere la sua persona, potrebbero al massimo coinvolgere il suoi amici o persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene qualche tipo di rapporto, magari non sempre limpido.

Dovrebbe essere anzi grato al giudice De Magistris che con le sue indagini potrà dimostrare l’onestà del sig. Ministro fornendogli una patente di onestà certificata che avrebbe per questo più valore delle sue affermazioni che, agli occhi dell’opinione pubblica, non possono che essere di parte e quindi non obiettive se non addirittura sospette.

Non vorrei però insistere troppo sulla sua persona con il rischio di additarlo come comodo capro espiatorio dei tanti mali della politica italiana, come ha detto Beppe Grillo con una ironia che Il sig. Mastella non e’ stato in grado di capire e che tutta la stampa nazionale ha fatto finta di non capire pubblicando titoli a tutta pagina sulla pretesa pace tra il politico e il comico, e qui lascio al vostro giudizio decidere chi sia il poltico e chi sia il comico, e pubblicando poi solo qualche trafiletto poco visibile quando Beppe Grillo ha chiarito le vere intenzioni della trappola un cui l’aveva fatto cadere.

Il fatto è, sig. Mastella, che una persona come Grillo, che ieri ha fatto di mestiere il comico, oggi è uno dei pochi che fa poltica in modo serio, e quelli che sono stati designati dai partiti italiani per fare i politici e che la gente, in mancanza di altre scelte, ha dovuto votare, si affannano oggi un tutti i modi di fare la parte dei comici in quel cabaret di bassa lega che è diventata la politica in Italia.

Ma lo scenario, purtroppo, non è quello di un cabaret, è quello di una tragedia, la tragedia di un paese allo sbando dove gli equilibri di governo si reggono su ricatti incrociati e dove l’opposizione non aspetta altro che il suicidio del governo per potere subentrare nell’esercizio del potere, ricominciare ad emanare leggi “ad personam” e continuare, come peraltro ha fatto anche questo governo, nell’attuazione di quel patto scellerato tra lo Stato e la mafia per la spartizione del potere e degli appalti in Italia per cui è stato necessario eliminare Paolo Borsellino.

E io purtroppo vedo tante, troppe analogie tra le vicende di ieri e quelle di oggi.

Oggi Paolo Borsellino e Giovanni Falcone vengono additati come degli eroi e, dopo averli uccisi, si cerca ancora di seppellirli a forza di commemorazioni, di lapidi e targhe stradali, quasi a rassicurarsi del fatto che siano veramente morti, ma ieri, quando erano sul punto di arrivare nelle loro indagini al punto focale dei rapporti tra la mafia e la politica, si cercava in tutti i modi di rendergli difficile il lavoro, di isolarli, di costringerli a trasferirsi in altra sede per riuscire a trovare degli spazi per potere continuare le loro indagini.

Anche De Magistris è stato messo in difficoltà dal suo capo, anche De Magistris è stato isolato, anche De Magistris si sta cercando di trasferire per renderlo innocuo, ma si ricordi, sig. Ministro, che per esperienza del passato, l’isolamento di un giudice o di un investigatore è stato sempre il primo passo per additarlo alla vendetta della camorra e della mafia e chi da inizio e determina questo stato di cose non ha minori responsabilità, almeno morali, di chi ne decide l’eliminazione o preme il pulsante di un timer.

Si ricordi però che la gente non sopporterebbe che la storia si ripeta, quella stessa gente che nella cattedrale di Palermo prese a schiaffi e a calci quei politici che pretendevano di sedersi in prima fila davanti alle bare dei ragazzi di Paolo, vi caccerebbe allo stesso modo da un Parlamento nel quale sedete fianco a fianco di personaggi inquisiti, prescritti o già condannati nei primi gradi di giudizio e questa volta non riuscireste a riciclarvi sotto altre sigle e nuovi partiti, a mantenere il potere e ad occupare indegnamente le istituzioni come aveta fatto dopo il disfacimento della prima Repubblica.

Salvatore Borsellino

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: un altro caso archiviato, ma non ancora risolto

La procura di Roma, nel giugno scorso, ha stabilito l'archiviazione dell'indagine sulla morte di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, poiché "le investigazioni suppletive effettuate sul duplice omicidio non hanno consentito di evidenziare ulteriori responsabilità oltre a quelle giudizialmente accertate di Hashi Omar Assan", ritenuto uno dei sette membri del comando che sparò.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, nel corso delle loro indagini su un presunto traffico internazionale di veleni, rifiuti tossici e radioattivi prodotti nei Paesi industrializzati e stivati nei Paesi poveri dell'Africa, in cambio di tangenti e armi scambiate coi gruppi politici locali. Da allora due commissioni di inchiesta hanno cercato di fare luce sul duplice assassinio.
Carlo Taormina, presidente dell'ultima Commissione, che concluse i suoi lavori nel febbraio del 2006, espresse la tesi che l'omicidio sarebbe avvenuto dopo un fallito tentativo di rapimento da parte di alcuni abitanti di Mogadiscio per un presunto risentimento dei somali nei confronti del popolo italiano. Egli, inoltre, dichiarò: «I due giornalisti nulla mai hanno saputo e in Somalia passarono una settimana di vacanze conclusasi tragicamente».
Certamente una tale conclusione non può soddisfare i parenti delle vittime e l'opinione pubblica in generale, dato che, nonostante la condanna in Italia di Omar Assan, molti rimangono gli interrogativi a cui dare una risposta.
Dopo l'archiviazione da parte della Procura di Roma, oggi la parola passa al Parlamento e in particolare al Senato, che, come riferisce l'Unità, sta decidendo in questi giorni se nominare una nuova commissione d'inchiesta. "Sul fatto che permangono ancora molti segreti pochi sembrano avere dubbi e molti tra i senatori si chiedono se è giunto il momento di aprire qualche cassetto rimasto chiuso da allora".

E' fondamentale che la società civile non dimentichi e porti avanti le sue istanze, la sua voglia di verità
. Essa non deve accontentarsi di risposte facili e superficiali da parte della politica, non solo affinché il suo diritto all'informazione venga garantito da chi governa, ma anche perché è una necessità di giustizia sostanziale a richiederlo.